Doppio Inganno di
Anna Caterina Grees
Presentazione
Il giorno del suo matrimonio il dottore Gilberto Comencini
riceve la visita di un funzionario di polizia, il dottor Grandi, che gli
racconta una strana storia. È l’avvio di un incubo. Un incubo che deve risolvere
molti quesiti. Tra questi: chi ha emesso quell’urlo terrificante che ha scosso
gli invitati alla cerimonia nunziale del dottor Comencini? Perché la bella
Emanuela Falieri, che è il ritratto di Elena Gregoracci, viene trovata morta
avvelenata il giorno stesso del matrimonio. Suicidio o omicidio?
Piano piano, in una alternanza di colpi di scena, la verità
viene lentamente a galla. Una verità sconcertante, che lascia l’amaro in bocca
e molti interrogativi senza risposta. Dopo i successi ottenuti con i romanzi Il
Male, L’Urlo della Morte e La Pergamena del Conte Ugolino, Anna Caterina Grees
continua a sorprenderci con una storia che, nel trattare il tema del doppio,
delle sorelle gemelle, se ne impadronisce per trattarlo con una dovizia che va
ben oltre il puro gioco degli equivoci e degli scambi di persona, toccando i
temi spesso angoscianti dell’identità e dell’inganno, dell’essere e
dell’apparire.
Incipit
La donna si guardò a lungo nello specchio.
Si disse che guardandosi allo specchio avrebbe dovuto riconoscersi,
perché abituata al suo volto, ed allora perché le sembrava di guardare una
estranea. Forse, se non avesse mai posseduto uno specchio, le sarebbe stato
difficile riconoscersi? Avrebbe avuto bisogno che qualcun altro le dicesse chi
era?
Se si fosse recata da coloro che la conoscevano, nel
reciproco riconoscimento, avrebbe avuto la certezza di sapere chi era
veramente. Ognuno avrebbe riconosciuto l’altro e la sua identità personale
sarebbe stata consacrata in quanto appartenente ad un gruppo.
Doveva quindi concludere che lo specchio era, per lei come
per gli altri, una forma di libertà che induceva le persone a riconoscersi da
sé, nella propria individualità. Una libertà che a volte si pagava con la
solitudine che induceva a comportamenti narcisistici, come la matrigna di
Biancaneve che si chiedeva continuamente se in tutto il reame vi fosse qualcuna
più bella di lei.
Così anche lei si perdeva nella propria immagine, ma non in
cerca di bellezza, ma di una identità Quello specchio le offriva una delle più
grandi illusioni della sua vita, quella di farle credere che quella che vedeva
era proprio lei. Quello specchio non era altro che la presunzione di definire
una identità umana, che era indefinibile, in quanto andava al di là della sua
apparenza. Lei non era ciò che sembrava, se non in misura minima o relativa. La
sua identità, per sentirsi vera, aveva bisogno di ben altri riconoscimenti.
L'unica cosa che poteva concederle quello specchio era il
riconoscimento dei suoi lineamenti fisici, ma di ciò avrebbe potuto farne a
meno, in quanto la vera identità che ella ricercava era qualcosa di spirituale,
di immateriale, di impalpabile, di impercettibile, qualcosa di profondo, che
andava oltre le apparenze, le somiglianze.
Chi era lei, in realtà?
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