La Maledizione della Strega di Giuseppe Fletther
Presentazione
Episodi
lontani nel tempo hanno un unico filo conduttore. Si parte dal rogo di una
strega nel medioevo per giungere ai giorni nostri con l’uccisione brutale da
parte di un serial killer di studentesse e prostitute a cui fa seguito la
scomparsa di un’illusionista.
Il
fratello dell’illusionista inizia le indagini coadiuvato da un giovane
scenografo Christophe Lacoste. Per coloro che indagano le risposte da risolvere
sono: l’illusionista Raymond Chalon che fine ha fatto? Che sia caduto nell’Antro
della Strega, un crepaccio da cui mai nessuno è riuscito a uscire? O è stato
vittima di un delitto di cui si ignora il possibile movente? Chi è che uccide
brutalmente, dopo averle violentate e torturate per giorni interi, giovani
studentesse e prostitute d’alto bordo?
In
una Bretagna misteriosa, nel piccolo villaggio di Larmor, si snoda una storia
piena di fascino e di suspense, fatta di risentimenti e vendette, che si rimanda
di generazione in generazione per affollare di incubi la gente di Larmor.
Incipit
— L’abbiamo!... Abbiamo la strega!...
Un urlio assordante
fece eco a quel grido, poi un’orda di cavalieri templari si rovesciò attraverso
gli stretti e fangosi vicoli del villaggio fiancheggiati da capanne di paglia e
d’argilla grigia.
— Fermatela! Conficcatele una freccia nel cranio!
Una voce imperiosa,
che non ammetteva replica, dominò la foga omicida di quei cavalieri:
— Guai a chi la uccide! Dovete portarmela viva!
Chi aveva dato
quell’ordine era un bel giovane, uno dei più belli che si potessero trovare
nella contrada di Larmor, snello ma al tempo stesso ben piantato, con spalle
ampie e braccia muscolose e la pelle fortemente abbronzata e resa ruvida dalle
calure intense del sole della Palestina e dai venti gelidi delle Terre del
Nord, gli occhi neri e pieni di fuoco, e il naso aquilino.
Dalla clamide e dal
mantello con cappuccio, su cui erano disegnate le insegne del casato dei
Villefranche, si capiva subito che era il capo di quei cavalieri al servizio di
Dio e della Chiesa di Roma.
Al suo comando, tutti
gli uomini che lo circondavano abbassarono gli archi e, tratte dalle loro
larghe cinture le spade si gettarono nuovamente a corsa furiosa, urlando:
— Addosso!
— Prendiamola!
— Non bisogna che ci fugga!
— Tenens noctem non amplius unam[1]!
Una donna, che era
saltata poco prima giù da un terrazzo di una di quelle casupole, fuggiva
dinanzi a loro, facendo sforzi prodigiosi per mantenere la distanza.
Correva con l’agilità
di un’antilope, descrivendo di quando in quando brusche curve, onde non la si
potesse prendere di mira e agitando disperatamente le braccia come per darsi
maggior slancio.
Era una bellissima
fanciulla, certamente una nobile perché indossava una veste di seta color
ametista che le modellava il seno quasi nudo, a causa della profonda
scollatura, e le sottolineava la curva dei fianchi snelli. Una sopravveste
aperta, bordata di petis-gris, le ricadeva ampia dalla schiena sin quasi ai
polpacci.
In una mano teneva un
pugnale dalla lama larga e leggermente ricurva, e nell’altra un rosario dei
misteri dolorosi che, come preghiera, prevedeva la rievocazione di: l'agonia di
Gesù nell'orto degli ulivi, la flagellazione di Gesù alla colonna,
l'incoronazione di spine, Gesù caricato sulla Croce ed infine la crocifissione
e la morte di Gesù.
L’inseguimento
diventava accanitissimo. I Templari, che all’allarme dato si erano precipitati
nelle vie, erano una ventina, quasi tutti giovani e veloci di gambe, e
gareggiavano fra di loro per guadagnarsi il premio promesso dal loro
comandante. Chi l’avesse catturata per primo avrebbe avuto il diritto di
possesso per una notte intera.
— Fermati, puttana! — gridavano tutti in coro, roteando le loro
spade.
— Fermati, cagna di una strega! Il tuo padrone non ti salverà!
La fanciulla
raddoppiava i suoi sforzi e affrettava la corsa, ansando come una bestia
feroce. Aveva il volto congestionato, gli occhi fuori dalle orbite, le sue
tempie battevano febbrilmente, e dal suo bel seno uscivano veri sibili, tanta
era affannosa la respirazione.
Uscita dalle strette
viuzze del villaggio, si diresse verso il bosco, forse con la speranza di
trovarvi nel mezzo un nascondiglio.
Ad un tratto un urlo
di gioia sfuggì agli inseguitori.
— Viva Jean de Villefranche!
Un uomo di statura
imponente, che montava un magnifico cavallo persiano dal pelo lucentissimo, era
uscito da una via laterale ed era passato come un uragano a fianco dei
corridori.
La fuggiasca, udendo
il galoppo del cavallo, mandò una bestemmia e si fermò alzando il pugnale.
— Non mi avrete viva! — urlò — prima
ucciderò un buon numero di voi e poi pianterò il pugnale nel mio petto.
Il cavaliere le
correva incontro con velocità fulminea.
La ragazza fece un
salto di fianco, per evitare l’urto, ma il cavaliere con una strappata a destra
e con una stretta delle ginocchia, fece fare al suo destriero un volteggio
fulmineo, che nessun altro sarebbe stato capace di fare, e la urtò così
violentemente da gettarla a terra.
— Sei presa, mio cara! — disse.
Balzò da sella e si
precipitò sulla fuggiasca ancora stordita da quell’urto violentissimo, le
strappò di mano il pugnale, poi lo alzò in aria come fosse stato un fanciullo,
gridando:
— Eccola, mio caro fratello! È nostra!
La ragazza si dimenava
disperatamente, digrignando i denti e tentando di colpire, con i piedi, il
guerriero, senza però riuscirvi.
Gl’inseguitori in un
momento circondarono i due, urlando a squarciagola:
— È presa! È presa! Stanotte sarà per te una bella notte! Mai una strega
è stata più bella!
Il comandante del
gruppo, Simon de Villefranche, che giungeva ultimo, con un gesto imperioso,
arrestò suo fratello, il quale aveva già cominciato a denudare la prigioniera
per possederla davanti ai suoi uomini. Molto probabilmente, dopo, avrebbe
concesso loro di sfogare su di essa la loro libidine.
— No, Jean, — disse. — Deve
parlare prima e dirci quali sono le sue complici.
— Non è vero che sono una strega! — gridò la ragazza, con voce
strangolata. — E tu lo sai bene Simon!
— Taci, puttana! — rispose Jean de Villefranche, scuotendola
ruvidamente. — Taci, o ti rompo le
costole con una buona stretta, di quelle che so dare io solo.
— Siete dei miserabili! assassini! Volete la mia morte per divertirvi e
per impossessarvi delle mie terre che confinano con le vostre!
— Portala al villaggio, Jean, — disse Simon de Villefranche,
saettando con uno sguardo feroce la prigioniera.
Poi, volgendosi verso
gli altri, chiese:
— Avete preso le fascine?
Udendo quelle parole
la ragazza diventò spaventosamente pallida, poi un urlo d’angoscia le sfuggì:
— Ah! No! No! Grazia!
— Gettala sul cavallo, Jean, — disse Simon de Villefranche, senza
nemmeno rispondere alla prigioniera, nè impietosirsi del terrore immenso che
traspariva dai suoi occhi dilatati e dai suoi lineamenti sconvolti. — E voi andate a raccogliere quanta più legna
possibile e portatela sulla piazza del villaggio.
— Un momento, Simon, — disse Jean de Villefranche. — Bisogna assicurarla bene al cavallo e stare
attenti che non morda.
Gettò a terra la
disgraziata, le posò un ginocchio sul dorso per tenerla ferma, poi le strappò
via tutte le vesti, lasciandola completamente nuda, quindi la sollevò e la mise
sul suo cavallo, prendendo in mano le briglie.
— Siamo pronti, Simon, — disse poi al fratello.
La truppa si mise in
marcia ritornando verso il villaggio, ove si erano radunati i vecchi, le donne
ed i fanciulli.
La ragazza non aprì
più bocca, nè fece alcuno sforzo per liberarsi dai legami. Il suo pallore non
era ancora scomparso dal suo viso e di quando in quando un forte tremito la
faceva sobbalzare, specialmente quando i suoi sguardi s’incontravano con quelli
di Simon de Villefranche.
Giunti dinanzi ad una
casupola, che aveva un aspetto migliore delle altre, Jean arrestò il cavallo e
levò dall’arcione la prigioniera, mentre Simon de Villefranche diceva agli
uomini che lo accompagnavano:
— Dieci di voi si mettano dinanzi alla porta, gli altri vadano a prendere
le fascine e a cercare il legno. Il rogo di questa miserabile strega sarà
pubblico. Ed ora lasciatemi tranquillo.
— Sì, comandante, — risposero in coro coloro che avevano preso parte
all’inseguimento.
Jean, che teneva la
prigioniera fra le braccia, dopo averla accarezzata nelle sue parti intime, con
un calcio spostò la pietra che serviva di porta ed entrò in una camera piuttosto
vasta, dalle pareti grigiastre, malamente illuminata da due pertugi che
somigliavano a feritoie.
Depose la prigioniera
su un vecchio tappeto persiano, senza slegarle le mani e si sedette accanto a
lei, risoluto ad ammazzarla, al primo tentativo di rivolta.
Simon de Villefranche
stette in piedi, dardeggiando sulla povera fanciulla uno sguardo feroce.
— Avresti dovuto accettare la mia proposta di matrimonio, — le disse
con voce minacciosa. — Ora, non ti resta
che morire, ma prima dovrai dirmi dove sono fuggite le tue dame di compagnia.
Non posso permettermi di farle restare in vita.
— Io non so dove siano fuggite, — rispose la prigioniera.
— Tu menti, cagna! — urlò Simon de Villefranche, esasperato. — Se parli, ti prometto ti farti giungere sul
rogo già morta.
— Non posso confessare ciò che io non so, — rispose la ragazza con
voce ferma. — Tu puoi uccidermi, farmi
bruciare viva, ma da me non saprai nulla, perchè io non so nulla.
— È la tua ultima parola?
— Sì!
— Sta bene, vedremo se saprai resistere alle fiamme.
Un forte tremito
scosse la miserabile, e la sua fronte si coprì di goccioloni di sudore,
tuttavia non aggiunse verbo.
— Jean, — disse Simon de Villefranche, — non lasciarla un solo istante. Io vado a prepararle il rogo.
Era appena uscito,
quando Jean riprese a palpare la prigioniera. Il suo desiderio per lei era ora
evidente. Il giovane si curvò rapidamente sulla prigioniera, dicendole
sottovoce:
— Tu ormai sei perduta e, se anche tutto confessassi, non usciresti
egualmente viva dalle fiamme del rogo, perchè mio fratello, fra poco, sarà qui,
e quello non ti farà grazia.
— Lo so, maledetto, — rispose la prigioniera. — che vuoi da me.
— Se ti farai possedere da me in modo consensuale, ti darò un veleno che
in pochi secondi ti farà morire senza alcuna sofferenza.
— Me lo giuri, Jean?
— Sulla Bibbia.
La ragazza si lasciò
andare.
Quando Jean de
Villefranche ebbe finito, si rialzò e chiamò gli uomini di guardia alla
capanna.
— Questa puttana non
parlerà, — disse loro. — Bruciamola e non se ne parli più.
Grida feroci coprirono
le sue ultime parole.
— La prigioniera! La prigioniera!
Una banda d’uomini
irruppe nella stanza.
— Tutto è pronto, Jean! — gridò uno di loro. — Simon l’aspetta.
— L’ora suona, — disse Jean de Villefranche, alzando la prigioniera.
— Preparati pel gran viaggio e raccomanda
la tua anima a Dio.
La ragazza curvò il
capo e debolmente chiese:
— Il veleno.
Jean de Villefranche
emise una sonora risata di scherno:
— Mentivo puttana, avresti dovuto saperlo che un Villefranche è un
mentitore di natura. Morirai in modo atroce.
La ragazza si lasciò
spingere fuori dalla stanza.
Subito la scorta la
circondò, quantunque Jean la tenesse strettamente per un braccio.
Attraversate tre o
quattro viuzze che erano ingombre di persone, di cavalli e di somari, il
drappello giunse ben presto sulla piazza del villaggio, dove si trovava Simon
de Villefranche circondato da altri uomini armati, accanto al palo ove sarebbe
stata legata la prigioniera.
La ragazza, nel
vederlo, impallidì, spaventosamente ed i suoi occhi, che erano diventati
sanguigni, cercarono ansiosamente quelli di Simon, per chiedere pietà. Ma
quegli occhi restarono impassibile. L’uomo si limitò a chiederle:
— Dove sono nascosti i tuoi servi.
— Ti ho già detto che non so nulla. E poi, — aggiunse con amarezza, —
anche se io ti dicessi od inventassi
qualche cosa, non salverei egualmente la mia vita. Jean mi ha detto che mi
faresti morire ugualmente tra i tormenti.
All’ennesimo rifiuto
della ragazza fece cenno ai suoi uomini di legarla al palo.
Uno di loro chiese:
— Fuoco veloce o fuoco lento.
— Fuoco lento.
A quelle parole la
ragazza emise un grido di terrore. La ragazza sapeva benissimo che la morte
sopraggiungeva per gravissime ustioni prodotte al corpo, se il fuoco era
rapido, e per il successivo annerimento della carne fino a ridurre in cenere la
condannata. Se il fuoco era lento, invece, prima che il medesimo potesse
giungere a dilaniare le carni si poteva morire per asfissia oppure per arresto
cardiocircolatorio, ma solo dopo terribili sofferenze.
Fu dato fuoco alla
legna e ben presto le urla della ragazza terrorizzarono tutto il villaggio, ma
ciò che più di tutto fece loro effetto fu la maledizione che ella lanciò loro
per aver collaborato con i Cavalieri Templari.
Predisse loro che ogni
cento anni sette fanciulle del villaggio sarebbero morte di morte violenta.
Nessun commento:
Posta un commento