lunedì 11 aprile 2016

La Maledizione della Strega di Giuseppe Fletther

La Maledizione della Strega di Giuseppe Fletther

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Presentazione
Episodi lontani nel tempo hanno un unico filo conduttore. Si parte dal rogo di una strega nel medioevo per giungere ai giorni nostri con l’uccisione brutale da parte di un serial killer di studentesse e prostitute a cui fa seguito la scomparsa di un’illusionista.
Il fratello dell’illusionista inizia le indagini coadiuvato da un giovane scenografo Christophe Lacoste. Per coloro che indagano le risposte da risolvere sono: l’illusionista Raymond Chalon che fine ha fatto? Che sia caduto nell’Antro della Strega, un crepaccio da cui mai nessuno è riuscito a uscire? O è stato vittima di un delitto di cui si ignora il possibile movente? Chi è che uccide brutalmente, dopo averle violentate e torturate per giorni interi, giovani studentesse e prostitute d’alto bordo?
In una Bretagna misteriosa, nel piccolo villaggio di Larmor, si snoda una storia piena di fascino e di suspense, fatta di risentimenti e vendette, che si rimanda di generazione in generazione per affollare di incubi la gente di Larmor.
Incipit
L’abbiamo!... Abbiamo la strega!...
Un urlio assordante fece eco a quel grido, poi un’orda di cavalieri templari si rovesciò attraverso gli stretti e fangosi vicoli del villaggio fiancheggiati da capanne di paglia e d’argilla grigia.
Fermatela! Conficcatele una freccia nel cranio!
Una voce imperiosa, che non ammetteva replica, dominò la foga omicida di quei cavalieri:
Guai a chi la uccide! Dovete portarmela viva!
Chi aveva dato quell’ordine era un bel giovane, uno dei più belli che si potessero trovare nella contrada di Larmor, snello ma al tempo stesso ben piantato, con spalle ampie e braccia muscolose e la pelle fortemente abbronzata e resa ruvida dalle calure intense del sole della Palestina e dai venti gelidi delle Terre del Nord, gli occhi neri e pieni di fuoco, e il naso aquilino.
Dalla clamide e dal mantello con cappuccio, su cui erano disegnate le insegne del casato dei Villefranche, si capiva subito che era il capo di quei cavalieri al servizio di Dio e della Chiesa di Roma.
Al suo comando, tutti gli uomini che lo circondavano abbassarono gli archi e, tratte dalle loro larghe cinture le spade si gettarono nuovamente a corsa furiosa, urlando:
Addosso!
Prendiamola!
Non bisogna che ci fugga!
Tenens noctem non amplius unam[1]!
Una donna, che era saltata poco prima giù da un terrazzo di una di quelle casupole, fuggiva dinanzi a loro, facendo sforzi prodigiosi per mantenere la distanza.
Correva con l’agilità di un’antilope, descrivendo di quando in quando brusche curve, onde non la si potesse prendere di mira e agitando disperatamente le braccia come per darsi maggior slancio.
Era una bellissima fanciulla, certamente una nobile perché indossava una veste di seta color ametista che le modellava il seno quasi nudo, a causa della profonda scollatura, e le sottolineava la curva dei fianchi snelli. Una sopravveste aperta, bordata di petis-gris, le ricadeva ampia dalla schiena sin quasi ai polpacci.
In una mano teneva un pugnale dalla lama larga e leggermente ricurva, e nell’altra un rosario dei misteri dolorosi che, come preghiera, prevedeva la rievocazione di: l'agonia di Gesù nell'orto degli ulivi, la flagellazione di Gesù alla colonna, l'incoronazione di spine, Gesù caricato sulla Croce ed infine la crocifissione e la morte di Gesù.
L’inseguimento diventava accanitissimo. I Templari, che all’allarme dato si erano precipitati nelle vie, erano una ventina, quasi tutti giovani e veloci di gambe, e gareggiavano fra di loro per guadagnarsi il premio promesso dal loro comandante. Chi l’avesse catturata per primo avrebbe avuto il diritto di possesso per una notte intera.
Fermati, puttana! — gridavano tutti in coro, roteando le loro spade.
Fermati, cagna di una strega! Il tuo padrone non ti salverà!
La fanciulla raddoppiava i suoi sforzi e affrettava la corsa, ansando come una bestia feroce. Aveva il volto congestionato, gli occhi fuori dalle orbite, le sue tempie battevano febbrilmente, e dal suo bel seno uscivano veri sibili, tanta era affannosa la respirazione.
Uscita dalle strette viuzze del villaggio, si diresse verso il bosco, forse con la speranza di trovarvi nel mezzo un nascondiglio.
Ad un tratto un urlo di gioia sfuggì agli inseguitori.
Viva Jean de Villefranche!
Un uomo di statura imponente, che montava un magnifico cavallo persiano dal pelo lucentissimo, era uscito da una via laterale ed era passato come un uragano a fianco dei corridori.
La fuggiasca, udendo il galoppo del cavallo, mandò una bestemmia e si fermò alzando il pugnale.
Non mi avrete viva! — urlò — prima ucciderò un buon numero di voi e poi pianterò il pugnale nel mio petto.
Il cavaliere le correva incontro con velocità fulminea.
La ragazza fece un salto di fianco, per evitare l’urto, ma il cavaliere con una strappata a destra e con una stretta delle ginocchia, fece fare al suo destriero un volteggio fulmineo, che nessun altro sarebbe stato capace di fare, e la urtò così violentemente da gettarla a terra.
Sei presa, mio cara! — disse.
Balzò da sella e si precipitò sulla fuggiasca ancora stordita da quell’urto violentissimo, le strappò di mano il pugnale, poi lo alzò in aria come fosse stato un fanciullo, gridando:
Eccola, mio caro fratello! È nostra!
La ragazza si dimenava disperatamente, digrignando i denti e tentando di colpire, con i piedi, il guerriero, senza però riuscirvi.
Gl’inseguitori in un momento circondarono i due, urlando a squarciagola:
È presa! È presa! Stanotte sarà per te una bella notte! Mai una strega è stata più bella!
Il comandante del gruppo, Simon de Villefranche, che giungeva ultimo, con un gesto imperioso, arrestò suo fratello, il quale aveva già cominciato a denudare la prigioniera per possederla davanti ai suoi uomini. Molto probabilmente, dopo, avrebbe concesso loro di sfogare su di essa la loro libidine.
No, Jean, — disse. — Deve parlare prima e dirci quali sono le sue complici.
Non è vero che sono una strega! — gridò la ragazza, con voce strangolata. — E tu lo sai bene Simon!
Taci, puttana! — rispose Jean de Villefranche, scuotendola ruvidamente. — Taci, o ti rompo le costole con una buona stretta, di quelle che so dare io solo.
Siete dei miserabili! assassini! Volete la mia morte per divertirvi e per impossessarvi delle mie terre che confinano con le vostre!
Portala al villaggio, Jean, — disse Simon de Villefranche, saettando con uno sguardo feroce la prigioniera.
Poi, volgendosi verso gli altri, chiese:
Avete preso le fascine?
Udendo quelle parole la ragazza diventò spaventosamente pallida, poi un urlo d’angoscia le sfuggì:
Ah! No! No! Grazia!
Gettala sul cavallo, Jean, — disse Simon de Villefranche, senza nemmeno rispondere alla prigioniera, nè impietosirsi del terrore immenso che traspariva dai suoi occhi dilatati e dai suoi lineamenti sconvolti. — E voi andate a raccogliere quanta più legna possibile e portatela sulla piazza del villaggio.
Un momento, Simon, — disse Jean de Villefranche. — Bisogna assicurarla bene al cavallo e stare attenti che non morda.
Gettò a terra la disgraziata, le posò un ginocchio sul dorso per tenerla ferma, poi le strappò via tutte le vesti, lasciandola completamente nuda, quindi la sollevò e la mise sul suo cavallo, prendendo in mano le briglie.
Siamo pronti, Simon, — disse poi al fratello.
La truppa si mise in marcia ritornando verso il villaggio, ove si erano radunati i vecchi, le donne ed i fanciulli.
La ragazza non aprì più bocca, nè fece alcuno sforzo per liberarsi dai legami. Il suo pallore non era ancora scomparso dal suo viso e di quando in quando un forte tremito la faceva sobbalzare, specialmente quando i suoi sguardi s’incontravano con quelli di Simon de Villefranche.
Giunti dinanzi ad una casupola, che aveva un aspetto migliore delle altre, Jean arrestò il cavallo e levò dall’arcione la prigioniera, mentre Simon de Villefranche diceva agli uomini che lo accompagnavano:
Dieci di voi si mettano dinanzi alla porta, gli altri vadano a prendere le fascine e a cercare il legno. Il rogo di questa miserabile strega sarà pubblico. Ed ora lasciatemi tranquillo.
Sì, comandante, — risposero in coro coloro che avevano preso parte all’inseguimento.
Jean, che teneva la prigioniera fra le braccia, dopo averla accarezzata nelle sue parti intime, con un calcio spostò la pietra che serviva di porta ed entrò in una camera piuttosto vasta, dalle pareti grigiastre, malamente illuminata da due pertugi che somigliavano a feritoie.
Depose la prigioniera su un vecchio tappeto persiano, senza slegarle le mani e si sedette accanto a lei, risoluto ad ammazzarla, al primo tentativo di rivolta.
Simon de Villefranche stette in piedi, dardeggiando sulla povera fanciulla uno sguardo feroce.
Avresti dovuto accettare la mia proposta di matrimonio, — le disse con voce minacciosa. — Ora, non ti resta che morire, ma prima dovrai dirmi dove sono fuggite le tue dame di compagnia. Non posso permettermi di farle restare in vita.
Io non so dove siano fuggite, — rispose la prigioniera.
Tu menti, cagna! — urlò Simon de Villefranche, esasperato. — Se parli, ti prometto ti farti giungere sul rogo già morta.
Non posso confessare ciò che io non so, — rispose la ragazza con voce ferma. — Tu puoi uccidermi, farmi bruciare viva, ma da me non saprai nulla, perchè io non so nulla.
È la tua ultima parola?
!
Sta bene, vedremo se saprai resistere alle fiamme.
Un forte tremito scosse la miserabile, e la sua fronte si coprì di goccioloni di sudore, tuttavia non aggiunse verbo.
Jean, — disse Simon de Villefranche, — non lasciarla un solo istante. Io vado a prepararle il rogo.
Era appena uscito, quando Jean riprese a palpare la prigioniera. Il suo desiderio per lei era ora evidente. Il giovane si curvò rapidamente sulla prigioniera, dicendole sottovoce:
Tu ormai sei perduta e, se anche tutto confessassi, non usciresti egualmente viva dalle fiamme del rogo, perchè mio fratello, fra poco, sarà qui, e quello non ti farà grazia.
Lo so, maledetto, — rispose la prigioniera. — che vuoi da me.
Se ti farai possedere da me in modo consensuale, ti darò un veleno che in pochi secondi ti farà morire senza alcuna sofferenza.
Me lo giuri, Jean?
Sulla Bibbia.
La ragazza si lasciò andare.
Quando Jean de Villefranche ebbe finito, si rialzò e chiamò gli uomini di guardia alla capanna.
— Questa puttana non parlerà, — disse loro. — Bruciamola e non se ne parli più.
Grida feroci coprirono le sue ultime parole.
La prigioniera! La prigioniera!
Una banda d’uomini irruppe nella stanza.
Tutto è pronto, Jean! — gridò uno di loro. — Simon l’aspetta.
L’ora suona, — disse Jean de Villefranche, alzando la prigioniera. — Preparati pel gran viaggio e raccomanda la tua anima a Dio.
La ragazza curvò il capo e debolmente chiese:
Il veleno.
Jean de Villefranche emise una sonora risata di scherno:
Mentivo puttana, avresti dovuto saperlo che un Villefranche è un mentitore di natura. Morirai in modo atroce.
La ragazza si lasciò spingere fuori dalla stanza.
Subito la scorta la circondò, quantunque Jean la tenesse strettamente per un braccio.
Attraversate tre o quattro viuzze che erano ingombre di persone, di cavalli e di somari, il drappello giunse ben presto sulla piazza del villaggio, dove si trovava Simon de Villefranche circondato da altri uomini armati, accanto al palo ove sarebbe stata legata la prigioniera.
La ragazza, nel vederlo, impallidì, spaventosamente ed i suoi occhi, che erano diventati sanguigni, cercarono ansiosamente quelli di Simon, per chiedere pietà. Ma quegli occhi restarono impassibile. L’uomo si limitò a chiederle:
Dove sono nascosti i tuoi servi.
Ti ho già detto che non so nulla. E poi, — aggiunse con amarezza, — anche se io ti dicessi od inventassi qualche cosa, non salverei egualmente la mia vita. Jean mi ha detto che mi faresti morire ugualmente tra i tormenti.
All’ennesimo rifiuto della ragazza fece cenno ai suoi uomini di legarla al palo.
Uno di loro chiese:
Fuoco veloce o fuoco lento.
Fuoco lento.
A quelle parole la ragazza emise un grido di terrore. La ragazza sapeva benissimo che la morte sopraggiungeva per gravissime ustioni prodotte al corpo, se il fuoco era rapido, e per il successivo annerimento della carne fino a ridurre in cenere la condannata. Se il fuoco era lento, invece, prima che il medesimo potesse giungere a dilaniare le carni si poteva morire per asfissia oppure per arresto cardiocircolatorio, ma solo dopo terribili sofferenze.
Fu dato fuoco alla legna e ben presto le urla della ragazza terrorizzarono tutto il villaggio, ma ciò che più di tutto fece loro effetto fu la maledizione che ella lanciò loro per aver collaborato con i Cavalieri Templari.
Predisse loro che ogni cento anni sette fanciulle del villaggio sarebbero morte di morte violenta.




[1] possesso per una notte

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