lunedì 11 aprile 2016

L'Ombra della Follia



L'Ombra della Follia di Guglielmo Lanyon Dave

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Presentazione
Una storia d’amore e di mistero. Nel 1948, Christoph Brussig, che undici anni prima si era esiliato volontariamente in Argentina, per non vivere sotto il regime nazista, rientra in patria. Mentre è in cerca di lavoro si imbatte con la segretaria del dottor Wenzel che lo assume come autista.
Da questo momento la sua vita cambia radicalmente. Giunto alla villa del dottor Wenzel egli si accorge ben presto che quelle mura racchiudono un terribile segreto. Ma quale? Chi è la donna, pallida ed emaciata, che ha visto ad una finestra? Chi ha emesso un grido nella notte? Perché ogni tanto il giardiniere della villa brucia della Male Erbe, anziché lasciarle a concimare il terreno? E chi è Quasimodo, un essere deforme che somiglia ad una scimmia?
Poi, alla villa giunge una ragazza. La signorina Gwendolin Sauerwein ed allora si fa pressante per il giovane scoprire la verità di tutto quello che lo circonda.
Alle fine del romanzo un racconto di Adelaide Byrne in regalo: Sheila Holmes e il Volo della Morte.
Incipit
Al suo sbarcare a Hamburg, nel 1949, Christoph Brussig possedeva 100 marchi e undici pfennig e non aveva alcuna prospettiva davanti a sé. Era venuto da San Carlos de Bariloche, una città dell'Argentina situata nella provincia del Río Negro, nella Patagonia nord-occidentale, ai piedi delle Ande, sulle sponde del lago Nahuel Huapi.
Si era recato colà nel 1938, dopo aver compreso appieno la follia del Terzo Reich, e vi aveva trascorso ben undici anni di esilio volontario, quando, preso dalla nostalgia della sua terra, si era imbarcato nella stiva di un grande transatlantico.
Ritornava in patria senza sapere egli stesso il perché, tolto che si sentiva un pò stanco di quella vita errabonda, tra nostalgici del nazismo che, nel frattempo, avevano invaso l’Argentina, e il pensiero che, probabilmente, in Germania avrebbe avuto una sorte migliore di quella che aveva incontrato in Sud-America. E, in ultimo, forse, il natio loco gli aveva insensibilmente toccato le corde del cuore.
Se si fosse reso conto della presenza di questo sentimento avrebbe forse riso di una sentimentalità a lui ignota, perché grande era l’abisso che lo separava da essa e per non avere egli mai provato emozioni d’amore o sdolcinate tenerezze.
Da una feritoia del bastimento aveva osservato lo sbarco dei passeggeri di prima classe, ricchi americani e canadesi, che i rapidi espressi avrebbero condotti a Berlino nei sontuosi alberghi delle Forze Alleate. I passeggeri di seconda e terza classe, al contrario, si sarebbero diretti verso Bremen, Hannover e Düsseldorf, la maggior parte per lavorare nella risorgente industria tedesca. Ad accoglierli vi erano i parenti, gli amici, le mogli o le fidanzate. Ma per lui, non una voce di benvenuto, non una stretta di mano, nè una mensa preparata per il suo arrivo.
Era penoso questo suo ritorno in Germania dopo tanti anni di inutile vagabondaggio in un paese che, per quanto ospitale, gli era sempre rimasto indifferente. Appena trentenne non sapeva convincersi egli stesso dell’età sua, tanto si sentiva invecchiato.
Undici anni prima era partito pieno di speranze, pensando che il mondo sarebbe stato meglio di quella sua patria che vedeva andare incontro alla più totale rovina, ma erano stati undici anni sciupati!
Ripensava come erano trascorsi. In Germania era stato operatore per il regista Friedrich Christian Anton Lang che, come lui, nel 1933, era stato costretto a trasferirsi in Francia, avendo, infatti, egli rifiutato l’incarico di alto dirigente nell'industria cinematografica nazista, carica offertagli da Goebbels in persona.
Come lo stesso regista gli aveva confessato, l’ultima volta che si erano visti, il regime aveva sempre violentemente avversato una delle sue pellicole più celebri, M - Il mostro di Düsseldorf, ed aveva impedito la distribuzione di Il testamento del dottor Mabuse. Lang inizialmente aveva accettata l'offerta, ma la sera stessa, sospettando una trappola, era fuggito dalla Germania.
Una volta in Argentina, Christoph Brussig, aveva lavorato la terra, aveva fatto il minatore, era stato occupato in una fabbrica di automobili, poi era stato conducente d’automobile presso il sindaco di Bariloche, quindi commesso in un negozio di calzature, con non piccolo sacrificio, e infine sguattero sui treni, cosa questa che gli era piaciuta ancora meno.
Ed era ritornato alle sue terre senza che il mondo si fosse schiuso davanti a lui, senza aver potuto penetrarvi. Per colpa sua? O era quello il suo destino?
Camminando lungo il molo, fece un più accurato esame della sua cassa: cento marchi... Non erano molti per affrontare il mondo con le sue incognite. Pur tuttavia si sentiva relativamente soddisfatto, constatando che il suo gruzzolo sorpassava di molto la cifra che aveva disponibile alla partenza. Senza dubbio egli si sarebbe messo a posto a Berlino, speranza giustificata per chi non sapeva di quanti spostati Berlino rigurgitava.
Contava di passare quella notte a Hamburg per prendere uno dei primi treni il mattino seguente. Non aveva la più vaga idea di quello che avrebbe potuto fare nella grande metropoli. Qualche occupazione gli sarebbe pur capitata sotto mano: una ruota da pulire, piatti da rigovernare.
Non sarebbe poi stata la prima volta che si dedicava a simili lodevoli mestieri. Del resto vi erano sempre piroscafi pronti per la partenza da Hamburg, ed egli conosceva bene il lavoro che offre la stiva: nessuna preoccupazione, perciò.
Aveva una sorella sposata a un rispettabile impiegato di Banca in qualche località vicino Frankfurt am Main. Ma sapeva anche che i rispettabili cognati occupati in Banca non avevano soverchia simpatia per le persone irrequiete. Meglio quindi evitare Frankfurt am Main.
Vagò così per Hamburg in cerca di qualche asilo che facesse per lui.
L’esperienza gli aveva insegnato molte cose, e se non aveva saputo profittarne la colpa era tutta sua. Come avviene per tanti al mondo, anch’egli aveva trascurato le occasioni, e ciò, senza dubbio, per un certo senso di scrupolosità: così, almeno, si lusingava di convincere se stesso.
Per questo forse non aveva ceduto alle amabili offerte della figlia del sindaco di Bariloche, una ragazza tutta pepe, molto democratica, ma con l’idea fissa del matrimonio in testa.
La cosa era rimasta lì. Non sapeva, nè aveva voluto mai sapere se doveva rimpiangere o meno le buone occasioni trascurate. E continuava a ripetersi ch’egli era un buono a nulla, un mancato della vita. Naturalmente non ne era punto convinto, mentre un innato suo umorismo gli permetteva di ridere di se stesso: una grande fortuna per lui.
Mentre così ragionava incontrò per caso un signore che, nel chiedergli una informazione, lo informò che si doveva recare alla periferia di Postdam una ventina di chilometri da Berlino. Per risparmiare i soldi del treno si fece dare un passaggio.
Si era in estate e, quando intraprese il suo viaggio, il sole splendeva. Si è ingiusti verso la Germania, asserendo che colà piove di continuo: faceva un tempo splendido.
Proseguiva veloce con la pipa fra i denti. Dopo tutto il paese piaceva molto anche a lui: per gli eletti della sorte doveva esser singolarmente splendido. Si era aspettato rovine e macerie, ma, nei piccoli villaggi, la vita era rinata velocemente. Tutto si presentava regolare, bene allineato, sembrava il luogo adatto per chi vuol sognare una vita facile e comoda.
Proseguì il suo cammino e arrivò a Postdam sul calar del giorno, prendendo stanza in un pubblico alloggio ove lo ritennero un sud-sud-americano a motivo del suo accento. Egli li lasciò in tale convinzione, poco importandogli questa come tante altre cose. Del resto di tedeschi ve n’erano molti: uno più uno meno, poco contava.
La prima fase del suo viaggio si era dunque svolta senza intoppi. La seconda però doveva dimostrarsi ben più movimentata. Brussig non si occupava di controllare tempo e distanze, poco importandogli dell’uno e delle altre. Pensò che venti chilometri da Berlino non erano troppi e, un giorno o l’altro, sarebbe pur entrato nei sobborghi distrutti dalla guerra. L’importante non era capitare nella zona controllata dai russi.
Si sedette su una panca per riempire la pipa e forse per filosofare un pò seriamente, perchè noi siamo tutti portati a fare della filosofia. Il suo passato gliene dava, del resto, non poco argomento. Ma proprio in quel punto avvenne un fatto che lo trasse dalle sue meditazioni.
A forse cento metri dal luogo ove egli si era fermato, la strada faceva una curva repentina. Un’automobile apparve improvvisamente a quella svolta, a una velocità veramente eccessiva. Prima che il nostro viandante potesse rendersene conto, l’automobile andò a cozzare contro una siepe ove rimase ferma.
Brussig balzò in piedi e si precipitò sul posto, pensando che lo chauffeur doveva esser pazzo per fare una curva a tale velocità. Essendo egli, in auto, prudente per natura, sentiva un grande disprezzo per coloro che facevano gli sbruffoni.
Evidentemente uno di questi era l’individuo che una donna, balzata dalla vettura, apostrofava con accenti di rabbia, il conducente, che se ne stava imperturbato sul suo sedile e lisciava con una mano il copertone di una ruota anteriore.
Togliete la macchina di là, — strillava la donna. — Che state a pensare seduto a fare smorfie come un idiota?
No, non mi muovo, — borbottò l’uomo che sembrava prendere piacere alla situazione.
Divertito dalla scena, Brussig trovava che la donna era assai desiderabile. Sotto il leggero abito estivo, il suo corpo era snello e aggraziato. Le si potevano dare non più di una trentina di anni, anche se forse ne aveva di più.
Tutta la sua attenzione si concentrò su di lei. Non vedeva nient’altro. Ogni cosa in lei lo affascinava. La lucentezza dei capelli, il colore degli occhi, la forma del viso! Il morbido candore delle sue braccia nude, i polsi sottili, le dita affusolate, esprimevano una grazia e una signorilità fuori dal comune. Il suo profumo, poi, era eccitante e pudico al tempo stesso!
Il desiderio, in lui, evocò visioni senza veli della avvenenza celata sotto quegli abiti che tanto le donavano. Aveva esili seni soffici, che gli fecero pensare che si sarebbero adattati benissimo alla sua mano, come le anche strette, il ventre piatto, le natiche tese e turgide, la pelle delle cosce liscia e pallida come alabastro! E, fra esse, sotto la delicata seta delle mutandine ……..
La donna sembrò accorgersi del suo sguardo e sembrò leggergli nel pensiero. D’altronde ogni gesto, ogni sguardo di lui rivelava i suoi pensieri, più chiaramente che con parole. In altri momenti ne sarebbe stata divertita e lusingata, ma in quel momento aveva ben altro a cui pensare.
Ella girò attorno lo sguardo: i suoi occhi schizzavano fuoco.
Colui è pazzo, — disse. — E’ ubriaco!
Ed era quasi evidente. L’uomo continuava a ghignare in modo amabile, stupido. Il cofano della vettura stava inclinato di tre o quattro piedi sopra la siepe, il che permetteva allo chauffeur di starsene elegantemente adagiato.
Egli appariva perfettamente felice nella sua pace. Brussig ammirava quell’atteggiamento di incosciente filosofica noncuranza. Un uomo che va ad appollaiare la sua macchina in cima a una siepe e si pone a dormire pacificamente su di essa è certamente qualche cosa di straordinario.
Si direbbe che vi si è accomodato per passarvi la sua giornata.
E’ proprio così, — ghignò lo chauffeur. — Qualche volta ci adagiamo, qualche volta balziamo in piedi.
Quest’ultima frase aveva un significato che Brussig non riuscì a capire. Ma fu colpito dall’insolenza dello chauffeur e della isterica nervosità della donna che continuava a imprecare, ma senza efficacia di sorta. Poi ella si volse, implorante, quasi piangente, al nuovo venuto.
Vede in quale stato è? Che debbo fare?
Ella sapeva di aver fatto una conquista, e in modo civettuolo gli chiedeva aiuto.  Brussig le sorrise, non un sorriso di semplice cortesia, bensì allusivo a molto di più per farle capire che era interessato a lei, che sapeva ch’ella avrebbe potuto interessarsi a lui, ch’egli avrebbe gradito codesto interesse in ogni fibra del suo essere e disse, banalmente:
Credo che dobbiamo sbarazzarci di lui, — egli disse. — Me lo permette?
Vuol dire che lei...
Leverò di là quell’incomodo, se lei approverà il provvedimento.
Gettandolo poi nel fosso, — ella replicò senza esitazione.
Brussig si appressò all’uomo e disse:
Avete inteso?
Ho capito benissimo.
Allora uscite di là.
Visto che il comando non era eseguito con prontezza, Brussig balzò sulla vettura, afferrò per il collo il recalcitrante e lo scagliò senza cerimonie sulla via. Accasciato sul terreno, lo chauffeur cominciò a bestemmiare, ma il suo antagonista, curvo su di lui, impose:
Silenzio, niente bestemmie!
L’ammonizione non fece che infervorare l’individuo che, saltato in piedi, con l’occhio di fiamma, assunse una posa da lottatore, coi pugni serrati. Poi si gettò a terra nuovamente, di botto, e cominciò a grattarsi un orecchio.
Ecco quello che gli spetta, — disse la donna con un sorriso al suo protettore.
E quello che spetta a lei è la prigione, — ribattè lo chauffeur, — a lei e a tutti gli altri.
Voi siete licenziato, — ella disse, — Andatevene e non fatemi più vedere la vostra faccia.
Forse la rivedrà più di quanto non vorrebbe.
Lo prenda a calci, — disse la donna, rivolta a Brussig, sempre pronto all’azione quando si presentava motivo di spiegare la propria forza. Ma egli era ben lungi dal sentirsi adirato. L’incidente aveva destato in lui uno strano interesse. Guardò l’uomo e sorrise. Fosse questo sorriso o la vicinanza di scarpe ben suolate, sta il fatto che egli sorse in piedi continuando a grattarsi dietro l’orecchio.
Siete ubriaco, — disse Brussig.
Davvero?
! — strillò la donna.
Ne dubitate ancora?
Avrò a che fare con voi due nei prossimi giorni, con voi e con gli altri. Sa benissimo, costei, quello che intendo dire, e ve ne sono molti, oltre a me, che sanno e hanno visto. Ora andatevene al covo come meglio potete, spero che vi romperete il collo.
Ciò detto si allontanò con passo non del tutto sicuro. Brussig e la signora lo seguirono con lo sguardo, senza dire una parola, ma Brussig osservò che dal viso della donna era scomparso il rossore dell’ira per dar luogo a un’espressione di durezza che traspariva da tutto il suo contegno.
Non essendo al corrente del significato che potevano avere le parole beffarde dello chauffeur, se un significato avevano, non vi fece gran caso, quantunque la parola, covo gli fosse suonata non troppo piacevolmente. Nessun servo, anche se licenziato, usa generalmente chiamare così la residenza dei suoi ultimi padroni.
Ma dopo che lo sdegno della signora fu spento, ella sorrise per la vittoria riportata.
Non so davvero come io abbia sopportato così a lungo quell’individuo, l’ubriachezza è grave difetto, particolarmente in un conducente. Ebbi sovente motivo di sospettare, ma mai fino a oggi ne ebbi conferma... E ora non mi resta che ringraziarla. Crede che la vettura sia danneggiata?
Non credo. La siepe è folta e cedevole.
Sarà possibile toglierla di là? Ha qualche pratica di automobili?
Se aveva qualche pratica di automobili?
Rispose che se ne intendeva alquanto, e si dispose ad esaminare il caso. Poi, con un balzo al volante, egli fece retrocedere la macchina sulla strada.
Nessuna avaria, — sentenziò.
Vedo che lei sa guidare.
Ho guidato un pò...
Vorrei sapere se avrebbe la bontà di condurmi a casa.
Con infinito piacere.
Non costituirà un’interruzione dei suoi piani di viaggio?
Brussig l’assicurò che non era punto il caso. Il suo cammino era nella direzione segnata dal fato. E in questo momento egli lo doveva percorrere in una bellissima automobile di gran lusso, i cui pregi, da esperto quale egli era, non gli erano sfuggiti.
E anche la signora era bella, decisamente attraente, pur non essendo molto giovane. Nel salire sull’auto, la gonna della donna, che evidentemente aveva un spacco, si aprì come un ventaglio e la gamba destra fu visibile sino al limite dell’inguine. La donna sembrò non farci caso, ma Brussig era convinto che lei si era accorta del suo sguardo avido.
Partirono. La vettura procedeva leggera. Egli si sentiva contento al volante. Quanto alla strada che stava percorrendo e alla meta che lo attendeva, nulla sapeva e nulla voleva sapere. Era un’avventura interessante e ne sarebbe uscito qualche cosa. Fosse un lavoro o una occasionale avventura sentimentale, era pur sempre qualcosa che rompeva la monotonia della sua insignificante vita.
Di tanto in tanto la sua compagna di viaggio gli indicava il cammino, ed egli voltava a destra o a sinistra a seconda delle istruzioni che riceveva: il paese gli era completamente nuovo. Cercò di indovinare ove si trovava, ma subito vi rinunciò. Che gli importava?
Dopo un buon tratto e dopo aver svoltato e aver percorso una strada laterale, vennero a trovarsi davanti a due enormi cancelli attraverso i quali, al di sopra della cima degli alberi, egli scorse emergere il luccichio del tetto e dei camini. La casa era circondata da un’alta muraglia di mattoni, così almeno credette vedere mentre si avvicinava: evidentemente era giunto in una comoda, confortevole residenza.
Colà arrivati, la signora mise fine alle congetture di Brussig, porgendogli un mazzo di chiavi e pregandolo di aprire il cancello, dopo aver scelto quella destinata all’uopo. Egli balzò a terra ed eseguì l’ordine, fece poi entrare la vettura e richiuse il cancello.
La signora, dopo avergli raccomandato di chiudere a doppia mandata, si sporse dalla vettura per assicurarsi che l’operazione venisse eseguita a puntino. Stese la mano per riavere le numerose chiavi che dimostravano come ella tenesse molte cose sotto la sua vigile sorveglianza.
Un sentiero tortuoso li condusse di fronte alla casa, un edificio bianco e quadrato di due piani con importanti annessi. Egli saltò a terra e aprì lo sportello della vettura.
Siamo dunque giunti…. — egli disse.
Ella lo guardò per un istante senza parlare.
Il giovane vide i suoi vivi grandi occhi che l’osservavano attentamente e sentì di esser esaminato e pesato. Per nulla turbato, rispose a quello sguardo, sorridendo con grande calma, come persona sicura di sè.
La ringrazio infinitamente, — ella disse. — Non so che cosa sarebbe avvenuto senza di lei, quell’uomo era terribilmente pericoloso.
Sono lieto di averla servita, — disse Brussig.
Ella lo guardò nuovamente con occhio scrutatore e sperimentato. Aveva avanti a sè un uomo straordinariamente bello, con una bocca espressiva e un paio d’occhi che mandavano lampi di vivacità e di intelligenza. Si vedeva che ella non riusciva facilmente a determinare la classe sociale a cui egli apparteneva. Poi indicò l’angolo dell’edificio adiacente.
Che direbbe se la pregassi di condurre la macchina in rimessa? E non se ne vada, devo parlare con lei.
Egli la vide poi dirigersi alla porta principale d’ingresso che aprì con una delle sue chiavi. Si chiese dove erano i servi, dove gli abitanti della casa? Non si vedeva anima viva e uno straordinario silenzio incombeva su tutta la dimora.
Ma mentre si volgeva per risalire al volante, alzò involontariamente gli occhi e scorse un pallido viso guatarlo da una delle finestre, attraverso le tende scostate. Questa apparizione però fu subito celata dalle tendine rapidamente riaccostate. Era stato un volto di uomo o di donna? La visione era stata troppo rapida per poterne essere certo.
Condusse l’automobile in rimessa e la ripose in ordine al suo posto, accese quindi una sigaretta, disponendosi ad attendere la signora, quando vide un uomo lungo, allampanato, avvicinarsi con fare circospetto. Reggeva un canestro di giunco pieno di erbaggi, portava le ghette e grosse scarpe tutte inzaccherate di calce e di fango. Si capiva che era un giardiniere o un bracciante colà occupato.
L’uomo si appressò guardingo, strascicando le gambe in modo strano, come se le scarpe fossero troppo pesanti per le sue esili gambe. Aveva un aspetto ributtante con la sua faccia cadaverica e gli occhi imbambolati nascosti da folte irte sopracciglia.
Brussig lo salutò sorridendo, ma non ebbe risposta. L’uomo stava immobile davanti a lui fissandolo con una strana espressione di antipatia. Brussig accentuò il suo sorriso. Decisamente egli era caduto fra gente strana, incomprensibile.
Dov’è Andreas? — disse il giardiniere.
Andreas?
Certamente. Nessuno qui sa trattare le automobili, eccetto lui.
Proprio così?
E’ stata lei a licenziarlo?
Lei?
L’uomo ebbe uno sguardo furtivo, volgendo il capo da una parte, prima di rispondere... Brussig comprese che quegli occhi esprimevano una specie di strano timore.
Non so capire, — disse il giardiniere.
Non sa capire che cosa?
Come lei venga a prendere il posto di Andreas. Credevo che fosse qui per tutta la vita come me.
A quanto mi sembra qui si è in un luogo poco piacevole.
Lei ha detto bene, a quanto sembra.
Fece un passo avanti col dito sul labbro e con un lampo di incredibile espressione negli occhi.
Ma quello che ella non sa...
Poi si interruppe improvvisamente, una voce chiamò:
Gismund!
Era la signora, sua compagna d’ avventura. Ella si avvicinava, sorridendo.
Una bella raccolta di ortaggi, — disse, indicando il cesto. — Portateli in cucina. Voi siete davvero il miglior giardiniere del circondario.
Gismund, che, sentendosi chiamare, aveva cominciato a tremare, ebbe un vago sorriso sulla pallida faccia quando intese il complimento e si allontanò camminando penosamente.
Ella lo seguì con lo sguardo finché disparve all’angolo della casa.

Uno strano vecchio, — disse, — ma un abilissimo giardiniere.

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