L'Alito della Morte
di Vincenzo Collina
Presentazione
Romanzo. Genere:
Thriller-Poliziesco.
Due amici che lavorano, negli anni subito dopo la prima
guerra mondiale, in una fabbrica che costruisce aerei da guerra, una sera si
imbattano nel cadavere di un uomo con un coltello tra le costole ed una strana
incisione sulla fronte. I due amici decidono di ignorare il cadavere, ma
l’assassino o gli assassini sanno di loro. E una serie di interrogativi
comincia a farsi avanti per avere delle risposte. Perché Filippo Caldera, la
voce narrante della storia, è stato mandato dal signor Modesti in un vecchio
monastero abbandonato che è stato sede anche di un museo delle cere? Perché
Enrico Ricci, l’altro che ha visto il morto, viene improvvisamente inviato a
Venezia e dal quel momento diventa introvabile? E con tutto questo cosa c’entra
la fucilazione di un disertore italiano, alla fine del primo conflitto
mondiale? E chi è la bella e affascinante Eleanor Winter che improvvisamente fa
la sua comparsa dicendo di essere la fidanzata di Ricci? La bella inglese ha
veramente conosciuto il pilota italiano, asso dell’aviazione in guerra? E
perché Jack Clayton, anche egli inglese e amico di Ricci, porta Filippo Caldera
in una villa misteriosa appartenente alla setta Deutsche Vaterlandspartei?
Piano piano la tenacia di Filippo Caldera, con l’aiuto
di una spigliata collega, dalla reputazione discutibile, districa la
matassa fino ad una conclusione diversa da quella che era stata progettata dai
suoi nemici.
Incipit
11 giugno 1916 – ore
9.00
Oggi si fucilerà un sergente, reo «di non aver fatto la possibile difesa», abbandonando il campo di
battaglia presso il Turcio.
La sconfitta, il panico delle truppe accorrenti che per via
vedevano, sentivano e intuivano la paurosa tragedia, il turbine dei generali
silurati e dei comandi che si sovrappongono, ordinano e contrordinano, accusano
e si accusano, tutto ciò che porta un senso di sfiducia e di sconforto, al
quale si reagisce con le fucilazioni sul campo, isolate e in massa.
Un colonnello ne ha fatti fucilare una ventina, tra cui un
sottotenente. Ne ha ricavato un encomio solenne dal Comando Supremo. L’uomo,
condotto alla morte, tenta di fuggire, come una povera bestia inseguita dalla
muta dei cani. La legge di guerra lo afferra e lo fucila. Si tengono le truppe
con il terrore. Salus
patria suprema lex. Ognuno che è qui vive nella tragedia.
Questo sergente, che oggi sarà fucilato, fu arrestato mentre
tentava di fare una scappata a casa. Egli mi ha detto:
«Sono da un anno al
fronte. Ero al Costesin durante il bombardamento e l’attacco austriaco. Chi vi
ha resistito non è un vile. Io ho fatto sempre il mio dovere... È possibile che
mi si fucili? Mi lascino andare in trincea... Mi mandino contro i reticolati
nemici, a cercare una pallottola... Non voglio morire così, colpito da fucili
italiani! Volevo fare una scappata a casa... Ho figli, io...» e la voce gli
si alterava e il bel viso bruno gli si oscurava tutto e l’occhio gli si
inumidiva. Ma, ancora, non piangeva.
Ho saputo dal morituro che gli era giunta notizia che sua
moglie lo tradiva. Costei, che ne aveva fatto un disertore, ne farà un morto.
Ma chi, chi ha il diritto di togliere la vita a un altro
uomo? «Non uccidere!» fu invano
comandato?
Chi scatena una guerra?
Non certo un uomo, detto re, ma mille forze, una delle quali
provoca l’altra, forse anche inconsciamente, e la ingigantisce, come avviene
delle valanghe. Si stacca un sasso dalla più alta cima: quale forza volontaria,
cosciente l’ha staccato? Nessuna. E per la via la valanga si forma e rovina al
fondo. Così la guerra, che ci sarà sempre finché, dicono coloro che si adagiano
nella fatalità storica, finché vi saranno due uomini e un pugno di grano.
Finché, dicono gli uomini di buona volontà, suprema legge diventi la bontà.
Finchè, dico io, esisteranno le parole Dio e Patria.
Ora, quest’uomo, fra poche ore, verrà ucciso e nessuno ne
sentirà il rimorso.
Il tribunale di guerra: no. Il tribunale è la legge. La
legge dice, all’articolo 92 del codice penale dell’esercito: «fucilazione».
Chi ha scritto la terribile parola? Colui che doveva
difendere la nazione nella guerra.
Ora, per vincere una guerra bisogna uccidere.
I carabinieri che trascinano il morituro nel verde prato
accanto al camposanto? No. Perché il carabiniere non è un uomo. E la forza,
senza la quale non vi è legge. E la forza è una cosa vestita da carabiniere.
L’ufficiale che darà il cenno? No. È stabilito per
regolamento quale egli sarà. Ora, se io fossi aiutante maggiore del suo
reggimento, io dovrei fare quel cenno. Ed io non vorrei farlo. Chi lo farà non
vorrebbe farlo.
I cinque soldati che punteranno l’arma su di lui? No. Essi
non vorrebbero ucciderlo. Lo debbono.
Tutti obbediscono. Il più alto di noi obbedisce. A chi? Alla
cosa, che è la legge.
Si può distruggere la legge? Sì, ma per ucciderla occorre
spingere degli uomini a farsi uccidere.
Ed ecco che noi tutti compiremo l’assassinio e nessuno di
noi avrà il turbamento dell’omicida. Ognuno di noi agisce perché scocchi l’ora
della morte di un uomo. E nessuno di noi può fermare l’attimo.
Potremmo, se ne discutessimo, rinfacciarci l’un l’altro il
delitto legale. E picchiarci. E inseguirci l’un l’altro gridando:
«Assassino!»
E colpire. E un altro colpirebbe noi e urlerebbe:
«Assassino!»
Uno di noi v’è però che può fermare l’attimo: l’ufficiale,
che farà il cenno perché i soldati scarichino l’arma, avrà quel potere divino.
Egli potrà tardare un minuto secondo, con il braccio alzato,
prima di farlo ricadere perché i soldati sparino.
Egli può pensare:
«Uomo: potresti essere
già ucciso ed ecco, io prolungo la tua vita... L’attimo ancora non scocca...»
Ma quale uomo, che abbia tale terribile potere, avrà
l’orgoglio di usarne e compirà il delitto di prolungare di un secondo, di un
attimo, la spaventosa attesa del morituro?
Se uno dei soldati comandati ad ucciderlo non volesse
uccidere, basterebbe che deviasse l’arma... Lo avrebbero ucciso gli altri...
E se anche agli altri, collettivamente, e singolarmente,
balenasse lo stesso pensiero?
Ma altri cinque tiratori saranno pronti... Via, queste
considerazioni mi porteranno alla burletta...
Nessuno di noi vuole la guerra. Nessuno di quelli che ci
stanno di fronte la vuole...
Perché non abbassiamo noi le armi? Perché non le abbassano
gli altri, se tutti ne abbiamo la volontà?
Dice un colonnello medico, dotato di alquanta fifa, quando la nostra povera
artiglieria comincia a sparare:
«Ecco: noi cominciamo
a stuzzicarli... e quelli rispondono... Noi stiamo zitti e quelli stanno
zitti... Si potrebbe star così bene, dio taciturno!»
La cosa finisce in burletta...
11 giugno 1916 – ore
15.00
Il quadrato è formato. A un lato c’è una sedia per il
morituro. Egli arriva ammanettato, accompagnato dal frate cappellano e dai
carabinieri, ma nessuno lo sorregge.
Rifiuta di sedersi. Sta ritto, con le mani legate, con la
mantellina su una spalla e il capo scoperto.
Dice a voce forte:
«Compagni, sono da un anno alla guerra. Non ho avuto paura
mai. È stato in un momento di incoscienza che io ho compiuto la mia prima
mancanza. E sarò fucilato. Serva di esempio a voi. Fate il vostro dovere,
sempre!»
Il maggiore che presiede la cerimonia aggiunge con voce in
cui trema la commozione:
«Ricordate le parole del vostro compagno!»
Il morituro non vorrebbe, ma gli vengono bendati gli occhi.
Egli dice ancora, forte:
«Non ho mai avuto paura. Non ho paura. Puntate bene!»
Il maggiore legge la lunga sentenza. Chi l’ha scritta doveva
ricordarsi che ogni parola prolunga l’agonia spaventosa del condannato.
Ad un certo punto il morituro interrompe:
«Signor maggiore, non ho bene inteso. Favorisca ripetere».
Una sola forza sostiene quest’uomo: dimostrare che non è un
codardo, egli, che è condannato «per
codardia, a mente dell’articolo 92 del codice penale per l’esercito».
Quando la lettura è terminata segue un attimo che è eterno.
Il tempo è sempre uguale?
Il morituro sporge il petto e il mento, nella sdegnosa
offerta. Il capitano aiutante maggiore compie il gesto fatale.
I soldati hanno puntato bene. Un solo grido di strazio che
si spegne rapido. Le alte erbe lo coprono tutto.
Ha avuto una sola pallottola. Al cuore.
Quattro non hanno voluto uccidere.
I carabinieri gli tolgono le manette, che sono la
costrizione della libertà.
Dal Diario di Attilio Frescura
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