lunedì 11 aprile 2016

L'Alito della Morte



L'Alito della Morte di Vincenzo Collina

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Presentazione
Romanzo. Genere: Thriller-Poliziesco.
Due amici che lavorano, negli anni subito dopo la prima guerra mondiale, in una fabbrica che costruisce aerei da guerra, una sera si imbattano nel cadavere di un uomo con un coltello tra le costole ed una strana incisione sulla fronte. I due amici decidono di ignorare il cadavere, ma l’assassino o gli assassini sanno di loro. E una serie di interrogativi comincia a farsi avanti per avere delle risposte. Perché Filippo Caldera, la voce narrante della storia, è stato mandato dal signor Modesti in un vecchio monastero abbandonato che è stato sede anche di un museo delle cere? Perché Enrico Ricci, l’altro che ha visto il morto, viene improvvisamente inviato a Venezia e dal quel momento diventa introvabile? E con tutto questo cosa c’entra la fucilazione di un disertore italiano, alla fine del primo conflitto mondiale? E chi è la bella e affascinante Eleanor Winter che improvvisamente fa la sua comparsa dicendo di essere la fidanzata di Ricci? La bella inglese ha veramente conosciuto il pilota italiano, asso dell’aviazione in guerra? E perché Jack Clayton, anche egli inglese e amico di Ricci, porta Filippo Caldera in una villa misteriosa appartenente alla setta Deutsche Vaterlandspartei?
Piano piano la tenacia di Filippo Caldera, con l’aiuto di una spigliata collega, dalla reputazione discutibile, districa la matassa fino ad una conclusione diversa da quella che era stata progettata dai suoi nemici.
Incipit
11 giugno 1916 – ore 9.00
Oggi si fucilerà un sergente, reo «di non aver fatto la possibile difesa», abbandonando il campo di battaglia presso il Turcio.
La sconfitta, il panico delle truppe accorrenti che per via vedevano, sentivano e intuivano la paurosa tragedia, il turbine dei generali silurati e dei comandi che si sovrappongono, ordinano e contrordinano, accusano e si accusano, tutto ciò che porta un senso di sfiducia e di sconforto, al quale si reagisce con le fucilazioni sul campo, isolate e in massa.
Un colonnello ne ha fatti fucilare una ventina, tra cui un sottotenente. Ne ha ricavato un encomio solenne dal Comando Supremo. L’uomo, condotto alla morte, tenta di fuggire, come una povera bestia inseguita dalla muta dei cani. La legge di guerra lo afferra e lo fucila. Si tengono le truppe con il terrore. Salus patria suprema lex. Ognuno che è qui vive nella tragedia.
Questo sergente, che oggi sarà fucilato, fu arrestato mentre tentava di fare una scappata a casa. Egli mi ha detto:
«Sono da un anno al fronte. Ero al Costesin durante il bombardamento e l’attacco austriaco. Chi vi ha resistito non è un vile. Io ho fatto sempre il mio dovere... È possibile che mi si fucili? Mi lascino andare in trincea... Mi mandino contro i reticolati nemici, a cercare una pallottola... Non voglio morire così, colpito da fucili italiani! Volevo fare una scappata a casa... Ho figli, io...» e la voce gli si alterava e il bel viso bruno gli si oscurava tutto e l’occhio gli si inumidiva. Ma, ancora, non piangeva.
Ho saputo dal morituro che gli era giunta notizia che sua moglie lo tradiva. Costei, che ne aveva fatto un disertore, ne farà un morto.
Ma chi, chi ha il diritto di togliere la vita a un altro uomo? «Non uccidere!» fu invano comandato?
Chi scatena una guerra?
Non certo un uomo, detto re, ma mille forze, una delle quali provoca l’altra, forse anche inconsciamente, e la ingigantisce, come avviene delle valanghe. Si stacca un sasso dalla più alta cima: quale forza volontaria, cosciente l’ha staccato? Nessuna. E per la via la valanga si forma e rovina al fondo. Così la guerra, che ci sarà sempre finché, dicono coloro che si adagiano nella fatalità storica, finché vi saranno due uomini e un pugno di grano. Finché, dicono gli uomini di buona volontà, suprema legge diventi la bontà. Finchè, dico io, esisteranno le parole Dio e Patria.
Ora, quest’uomo, fra poche ore, verrà ucciso e nessuno ne sentirà il rimorso.
Il tribunale di guerra: no. Il tribunale è la legge. La legge dice, all’articolo 92 del codice penale dell’esercito: «fucilazione».
Chi ha scritto la terribile parola? Colui che doveva difendere la nazione nella guerra.
Ora, per vincere una guerra bisogna uccidere.
I carabinieri che trascinano il morituro nel verde prato accanto al camposanto? No. Perché il carabiniere non è un uomo. E la forza, senza la quale non vi è legge. E la forza è una cosa vestita da carabiniere.
L’ufficiale che darà il cenno? No. È stabilito per regolamento quale egli sarà. Ora, se io fossi aiutante maggiore del suo reggimento, io dovrei fare quel cenno. Ed io non vorrei farlo. Chi lo farà non vorrebbe farlo.
I cinque soldati che punteranno l’arma su di lui? No. Essi non vorrebbero ucciderlo. Lo debbono.
Tutti obbediscono. Il più alto di noi obbedisce. A chi? Alla cosa, che è la legge.
Si può distruggere la legge? Sì, ma per ucciderla occorre spingere degli uomini a farsi uccidere.
Ed ecco che noi tutti compiremo l’assassinio e nessuno di noi avrà il turbamento dell’omicida. Ognuno di noi agisce perché scocchi l’ora della morte di un uomo. E nessuno di noi può fermare l’attimo.
Potremmo, se ne discutessimo, rinfacciarci l’un l’altro il delitto legale. E picchiarci. E inseguirci l’un l’altro gridando:
«Assassino
E colpire. E un altro colpirebbe noi e urlerebbe:
«Assassino
Uno di noi v’è però che può fermare l’attimo: l’ufficiale, che farà il cenno perché i soldati scarichino l’arma, avrà quel potere divino.
Egli potrà tardare un minuto secondo, con il braccio alzato, prima di farlo ricadere perché i soldati sparino.
Egli può pensare:
«Uomo: potresti essere già ucciso ed ecco, io prolungo la tua vita... L’attimo ancora non scocca...»
Ma quale uomo, che abbia tale terribile potere, avrà l’orgoglio di usarne e compirà il delitto di prolungare di un secondo, di un attimo, la spaventosa attesa del morituro?
Se uno dei soldati comandati ad ucciderlo non volesse uccidere, basterebbe che deviasse l’arma... Lo avrebbero ucciso gli altri...
E se anche agli altri, collettivamente, e singolarmente, balenasse lo stesso pensiero?
Ma altri cinque tiratori saranno pronti... Via, queste considerazioni mi porteranno alla burletta...
Nessuno di noi vuole la guerra. Nessuno di quelli che ci stanno di fronte la vuole...
Perché non abbassiamo noi le armi? Perché non le abbassano gli altri, se tutti ne abbiamo la volontà?
Dice un colonnello medico, dotato di alquanta fifa, quando la nostra povera artiglieria comincia a sparare:
«Ecco: noi cominciamo a stuzzicarli... e quelli rispondono... Noi stiamo zitti e quelli stanno zitti... Si potrebbe star così bene, dio taciturno
La cosa finisce in burletta...

11 giugno 1916 – ore 15.00
Il quadrato è formato. A un lato c’è una sedia per il morituro. Egli arriva ammanettato, accompagnato dal frate cappellano e dai carabinieri, ma nessuno lo sorregge.
Rifiuta di sedersi. Sta ritto, con le mani legate, con la mantellina su una spalla e il capo scoperto.
Dice a voce forte:
«Compagni, sono da un anno alla guerra. Non ho avuto paura mai. È stato in un momento di incoscienza che io ho compiuto la mia prima mancanza. E sarò fucilato. Serva di esempio a voi. Fate il vostro dovere, sempre!»
Il maggiore che presiede la cerimonia aggiunge con voce in cui trema la commozione:
«Ricordate le parole del vostro compagno!»
Il morituro non vorrebbe, ma gli vengono bendati gli occhi.
Egli dice ancora, forte:
«Non ho mai avuto paura. Non ho paura. Puntate bene!»
Il maggiore legge la lunga sentenza. Chi l’ha scritta doveva ricordarsi che ogni parola prolunga l’agonia spaventosa del condannato.
Ad un certo punto il morituro interrompe:
«Signor maggiore, non ho bene inteso. Favorisca ripetere».
Una sola forza sostiene quest’uomo: dimostrare che non è un codardo, egli, che è condannato «per codardia, a mente dell’articolo 92 del codice penale per l’esercito».
Quando la lettura è terminata segue un attimo che è eterno. Il tempo è sempre uguale?
Il morituro sporge il petto e il mento, nella sdegnosa offerta. Il capitano aiutante maggiore compie il gesto fatale.
I soldati hanno puntato bene. Un solo grido di strazio che si spegne rapido. Le alte erbe lo coprono tutto.
Ha avuto una sola pallottola. Al cuore.
Quattro non hanno voluto uccidere.
I carabinieri gli tolgono le manette, che sono la costrizione della libertà.
Dal Diario di Attilio Frescura


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