La Pergamena del
Conte Ugolino di Anna Caterina Grees
Presentazione
Quale mistero racchiude la Pergamena del Conte
Ugolino? Cosa turba la signora Piacentini, la moglie del Podestà di Pisa? Cosa
nascondono le signorine Lehman, ossessionate dalla Pergamena? Perché lo stesso
Hitler desidera impossessarsi della Pergamena? Esistono veramente i fantasmi?
Questi e altri misteri è chiamata a risolvere la signorina Aurora Sandrelli,
assunta dal Podestà di Pisa quale dama di compagnia di sua moglie.
Incipit
Il
carceriere impugnò la spada con mani tremanti e avvertì appiccicose gocce di
sudore colare sulla pelle, alla vista poco attraente dei cinque cadaveri che
giacevano scomposti sul rozzo pavimento, di fronte a lui. Era evidente che
prima di morire il Conte Ugolino aveva divorato i propri figli ed i suoi
nipoti, forse, dopo averli strozzati.
Cavalca,
il carceriere si trovava in una piccola sala, priva di qualsiasi mobile,
illuminata appena dai raggi della luna che trapelavano dalle nicchie aperte
lungo il muro della facciata dell’edificio. Rabbrividì. Non si era ancora
abituato a quel posto, sebbene vi prestasse servizio di guardia già da qualche
anno.
La
Torre della Muda, che prendeva il proprio nome dal fatto che in precedenza vi
venivano rinchiuse le aquile allevate dal comune di Pisa durante il periodo
della muta delle penne, era stata trasformata a prigione per ordine
dell’arcivescovo di Pisa, Ruggieri degli Ubaldini, che aveva dato l’ordine di
murare vivo il Conte della Gherardesca, non avendo pietà nemmeno per i suoi
figli ed i suoi nipoti, appena adolescenti.
Per
giorni Cavalca aveva udito i gemiti di quei cinque poveri esseri e per giorni
si era turato le orecchia per non impazzire.
Ora,
nella solitudine della notte, Cavalca era fermo nella piccola stanza
silenziosa, e fissava, steso sul pavimento, il cadavere di quello che era stato
uno degli uomini più ricchi e potenti di Pisa.
Ugolino,
infatti, aveva ricoperto un'importante serie di cariche nobiliari: era stato
Conte di Donoratico, secondo in successione come Signore del Cagliaritano e
Patrizio di Pisa, poi era divenuto Vicario di Sardegna, nel 1252, per conto del
Re Enzo di Svevia, ed era diventato podestà di Pisa dal 1284 sino a luglio
1288, quando era stato deposto dal ruolo di capitano del popolo.
Dio,
come era diverso, pensò il Cavalca, dall’uomo che un tempo passeggiava in via
Santa Maria sul suo cavallo bianco, arrogante e dominatore, con gli occhi neri
che mandavano lampi di vitalità magnetica.
La
gente che lo aveva avuto in odio difficilmente avrebbe riconosciuto Ugolino
della Gherardesca nel disfatto mucchio di ossa e carne rinsecchita che giaceva
al suolo, negli strappati abiti fatiscenti.
La
faccia era scheletrica, gli occhi sporgevano dalla testa e la lingua ciondolava
dalla bocca spalancata. Le sue inesistenti mani erano rivolte in alto in un
gesto di preghiera. Una pergamena di carta era stretta nelle sue dita
scarnificate.
«Cosa sarà mai?», pensò la sentinella,
inquieta. «Come ha fatto a giungere qui?»
Poi
si immobilizzò, con gli occhi sbarrati e i capelli ritti sulla nuca. Perché
come evocata dall’inferno stava avanzando una nera figura.
Cavalca
vide un giovane alto, di corporatura possente, vestito da cavaliere. La pelle
era scura come se fosse stata abbrustolita dal sole del deserto e Cavalca
lanciò un'occhiata inquieta alle larghe spalle, al torace robusto e alle
energiche braccia. Una sola occhiata ai lineamenti severi e alle spesse
sopracciglia gli bastò per capire che l'uomo non era un cristiano. Sotto il
ciuffo spettinato di capelli scuri covavano due temibili occhi neri. Una lunga
spada, come quelle usate dai mori, gli pendeva dalla cintura.
Cavalca
si sentì accapponare la pelle. Impugnò ancora più saldamente la spada con una
mezza idea di avventarsi sullo straniero, ma non lo fece, per timore di quel
che sarebbe potuto accadere se non fosse riuscito a dargli la morte al primo
colpo.
Il
moro guardò, più interessato che stupito, i corpi stesi al suolo.
— Quando sono morti, — chiese.
— Credo da qualche giorno, — rispose
Cavalca, indietreggiando lentamente.
— Sei il primo ad essertene accorto?
Il
Cavalca si chiese perché lo straniero fosse lì e gli rivolgesse tutte quelle
domande, ma non avendo il coraggio di affrontarlo, in attesa del sopraggiungere
di rinforzi, gli rispose:
— Sì, sono il primo.
Un
fremito di interesse comparve nei severi occhi neri del mussulmano.
I
suoi occhi si puntarono sulla pergamena, poi con decisione estrasse la
scimitarra e con un sol colpo decapitò il Cavalca. Poi, con calma raccolse la
pergamena, gettò un ultimo sguardo alla stanza e ai corpi che conteneva, e
svanì nella notte.
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