lunedì 11 aprile 2016

Il Monaco Nero



Il Monaco Nero di Gabriela Suarez

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Presentazione
Degli sconosciuti profano il Santo Sepolcro. Dieci anni dopo, nella cittadina ungherese di Esztergom, vengono commessi tre brutali omicidi. Chi è l’omicida? Forse il Monaco Nero che si aggira nella villa dei Déry?
Erzsébet Zilahy, una giovane bibliotecaria, si trova suo malgrado invischiata in una storia complicata, combattuta tra l’amore e la passione per Ferenc Kristóf, dirigente della locale biblioteca e l’affetto che ha per il suo fidanzato, Lajos Déry, membro di una delle famiglie più antiche di quella piccola cittadina dell’Ungheria Settentrionale, situata sulla riva destra del Danubio, nella provincia di Komárom-Esztergom e famosa perché, nell’antichità, Marco Aurelio aveva posto lì i suoi alloggiamenti, durante il suo secondo soggiorno in Pannonia, nel corso della seconda expeditio germanica del 178-179 d.C.
Incipit
Quando giunsero davanti all’antichissima chiesa in cui era il sepolcro del redentore, una piccola nube di uccelli, tutta vibrante di squittii, svolazzava intorno alla sua facciata.  Era un continuo frusciare di ali su per le due ampie finestre a sesto acuto e su per l’arco ogivale della larga porta.
A chi pregava, a chi contemplava, a chi pensava, fra i poderosi pilastri che sostenevano la volta del tempio, fra le cappelle che brillavano della luce delle lampade votive, quel canto di uccelli giungeva velato, ma persistente e si mescolava, in quell’ora dei sacri riti, agli inni mistici che i latini, che i greci, che gli armeni, che i copti elevavano, senza fine, alla memoria del loro Dio. E, a quel sottile canto di uccelli, si univa alla grave e toccante voce dell’organo, su cui i padri francescani cantavano le laudi della tenera madre di Gesù.
Gli uomini che erano entrati nella chiesa non fecero molto caso a tutti quei particolari dal sentore mistico e si diressero con decisione verso il punto che era stato loro indicato. L’edicola del Santo Sepolcro era completamente isolata dal resto della chiesa. Era stata costruita sulla roccia viva che formava le tombe di Giuseppe d’Arimatea, in cui fu seppellito Gesù: il sepolcro era stato rivestito di nobili marmi da colei, a cui più dovevano i cristiani di tutti i tempi e di tutti i paesi, da quella grande Elena, madre di Costantino imperatore, che aveva meritato il nome di Helena Magna.
L’edicola santa misurava otto metri e venticinque centimetri di lunghezza, sopra cinque metri e cinquantacinque centimetri di larghezza, mentre la sua altezza totale era di cinque metri e cinquanta centimetri. Si eleva quaranta centimetri sovra il suolo del tempio, ascendendovisi per quattro scalini. Essa formava, dunque, una cappella allungata, volta da occidente a oriente: verso occidente, essa era quadrata, verso oriente, era pentagonale. L’interno di questa cappella era fatto di due camerette o cellette, quasi quadrate, attaccate l’una all’altra, comunicanti fra loro per mezzo di una apertura bassa e stretta, da dove si poteva passare piegati in due.
Uno degli uomini domandò:
Allora ci siamo?
Quello che sembrava essere il capo rispose:
Non ancora.
Passarono nella prima celletta, detta dell’Angelo. Nel centro, collocato sopra un piedistallo e chiuso in una cornice di marmo, consumato dai baci, vi era un pezzo della pietra tombale che Maddalena e le pie donne che avevano assistito Gesù avevano trovato riversa: era una pietra molto grande e pesante. Quella celletta che era il vestibolo della Santa Tomba, era oscura, in una penombra appena rischiarata da quindici lampade di argento, pendenti dalla volta, e, come sempre, appartenenti alle quattro religioni cristiane.
Il Santo Sepolcro era nella seconda celletta. La porta che v’immetteva, non era che un’apertura ad arco, molto bassa, di un metro e trentadue centimetri di altezza, sopra sessantasei di larghezza: una sola persona, alla volta, vi poteva passare, ma curvatissima. La apertura ad arco era tagliata nella massiccia roccia viva.
Ecco ci siamo.
Il Santo Sepolcro non era molto elevato dal suolo. Generalmente accanto ad esso, vi era sempre un sacerdote vegliante la tomba del Redentore, ma quel giorno inspiegabilmente non si era presentato a compiere il suo uffizio.
La stanzetta era abbastanza illuminata, giacché, negli ultimi tempi, i greci avevano perforata la volta dell’edicola: ma essa era comunque molto affumicata dalle quarantatré lampade, che, perennemente, vi ardevano.
Il capo di coloro che erano penetrati nel sepolcro guardò la roccia, di cui era fatta la tomba: era biancastra, venata di rosso. Gli avevano detto che in arabo si chiamava melezi, cioè pietra santa. Il sarcofago era ricoperto di marmi, sino da oltre il tredicesimo secolo, come pure le pareti erano state ricoperte molto più tardi.
La tomba del Signore non era stata aperta che due volte. Il reverendissimo padre Mauro, custode dei Luoghi Santi, autorizzato dal papa Giulio secondo e da Kansou-el Gauro, sultano d’Egitto, nel 1501, ebbe la fortuna di poter aprire quella sacra custodia. Egli vi notò, fra altri oggetti, una tavoletta in marmo che tolse: non toccò gli altri oggetti e fece rinchiudere il monumento. Quattro anni dopo, padre Bonifacio, Custode dei Luoghi Santi, fece sollevare la lapide di marmo e vi trovò un pezzetto della vera croce, avvolto in un panno, ma, al contatto dell’aria e della luce, tutto cadde in polvere, salvo qualche filo di oro che vi era nel tessuto. Rinvenne anche una pergamena, con una iscrizione, ma così cancellata dal tempo, che vi si potettero leggere solo le parole: Helena Magna. Poi, nel giorno 27 agosto 1555, a mezzogiorno, la Tomba era stata rinchiusa e non era stata mai più riaperta.
Colui che comandava ordinò:
Su, diamoci da fare!
L’orlo della tomba era consunto dalle labbra e dalle lagrime dei pellegrini di tutti tempi e di tutto il mondo, ma il marmo resisteva ancora. Incuranti dei danni che potevano provocare, con un grimaldello fu spostata la lapide.
Ma qui non c’è niente, — disse uno degli uomini.
Bisogna scavare.

Due ore dopo gli uomini così come erano entrati, uscirono. Sui loro volti era possibile notare una profonda soddisfazione. Evidentemente avevano trovato ciò che cercavano.

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