Intrigo a Londra di
Tommaso Galloni
Presentazione
Un giallo che si legge come un film di Alfred Hitchcock.
Sembra di vivere le stesse atmosfere di L’uomo che sapeva troppo. La trama si
svolge in un Londra algida, anonima, priva di calore.
Intrigo a Londra è un thriller che possiamo annoverare nel
filone della così detta Detective Story rovesciata, nella quale i colpevoli
sono noti subito e la suspense si focalizza sullo svolgimento dell’avventura e
sul modo per sfuggire alla minaccia di morte che aleggia sull’eroina di turno.
In una Londra di inizio 1900, durante un ballo per
festeggiare la sua maggiore età, Dalya Ellis, dopo essersi appena fidanzata con
Ronald Bennett, incomprensibilmente lascia la propria casa seguendo Jason
Carter, di cui aveva respinto la domanda di matrimonio e verso il quale provava
anche avversione fisica.
E, quando il fidanzato la ritrova, afferma di non conoscerlo
e di non averlo mai visto. Che mistero si cela dietro a tutto ciò? Quando la
ragazza lo scoprirà per lei inizierà un vero e proprio incubo, perché colui che
vuole il suo male è la persona che lei ama di più.
Incipit
Due
lunghe file di vetture e di automobili dirette a Dacre Square, Hyde Park,
depositavano le persone che le occupavano avanti alla casa N. 4 e si
disponevano ad attendere fino alle ore piccole i rispettivi proprietari per
ricondurli a casa. La casa n. 4 era sfarzosamente illuminata e l’eco della
musica giungeva al di fuori, fino ad una certa distanza.
Un
uomo ed una donna passarono parecchie volte davanti alla casa in questione. La
donna si aggrappava al braccio dell’uomo e gli sussurrava ripetutamente delle
frasi, come per persuaderlo a desistere dal suo intento. L’uomo non rispondeva
e continuava a guardare cupamente la casa illuminata.
— Inutile,
Owen, non possiamo far nulla per questa sera. Meglio andarcene! — supplicava la
donna. — Non vi riceverà...
— Mi
riceverà! — interruppe l’uomo.
— Andate
pure a casa, Mary, non avete nulla a che fare con questo voi, mentre per me si
tratta o della fine del gioco o del principio di un gioco nuovo. In ogni caso,
non voglio immischiarvici. Dovete pensare a voi stessa ed alla vostra creatura.
Andate a casa e lasciatemi.
— Che
cosa volete fare? — chiese la donna sempre in un accento supplichevole.
Si
erano allontanati un pò dalla casa illuminata ed erano giunti quasi all’angolo
della piazza. L’uomo fissò con uno sguardo smarrito le vetture. Era abbastanza
giovane, ma i suoi capelli erano diventati grigi anzitempo e la sua fronte
aveva i solchi profondi dell’uomo tormentato da una grave preoccupazione. La
donna sembrava anche più giovane ed entrambi erano vestiti miseramente.
— Si
può aver accesso alla casa anche dalla parte del parco — mormorò l’uomo. — C’è
una porta nel muro di cinta che generalmente è chiusa a chiave. Proverò da
quella parte. Se sarà chiusa, cercherò di scavalcare il muro.
— Non
vi approvo, non otterrete nulla — fece la donna. — Perchè non aspettare un
momento più tranquillo? Questa sera la casa è affollata e non avrete modo di
vederlo.
— E’
più probabile che lo veda questa sera che un’altra sera. Non bisogna che abbia
modo di mettersi in guardia. Questa sera potrei svergognarlo anche in presenza
dei suoi amici, potrei dire a tutti quei signori che mi ha derubato e che ha
rovinato voi e la nostra creatura. La figlia sua è veramente fortunata...
Quelle vetture, quella musica, quella folla sono tutte in suo onore....
— E’
il suo compleanno, non è vero? — chiese la donna dirigendo di nuovo lo sguardo
verso la casa.
— Sì,
compie oggi ventun anni, esce dalla minore età — replicò l’uomo con amarezza —
ed oltre alla fortuna di suo padre ha una sostanza propria di sei cifre
rotondette. E’ privilegiata, Mary, mentre la nostra creatura dovrà morire di
fame a meno che non riesca a combinare qualche cosa. Ed ora — fece egli
muovendo risolutamente verso la casa — ora vi domando se credete che io sia in
diritto o no di agire?
— Dio
solo sa se avete pieno diritto di ottenere qualche cosa da quell’uomo, Owen, ma
non dovete correre dei rischi. Me lo promettete?
— Intendo
vedere questa sera ad ogni costo Farley Ellis. Ad ogni costo, capite. Anche se
dovessi forzarmi la via tra i suoi ospiti. Andrò cautamente dalla parte del
parco, e voi non avrete a temere che mi succeda qualche cosa. Buona notte,
Mary. Forse avrò delle buone notizie, quando vi rivedrò.
L’attirò
a sè e la baciò, in quell’angolo solitario della piazza ed ella, più tardi,
ripensando a quel bacio, ebbe l’impressione che fosse stato come un bacio di
addio. Owen voltò l’angolo e risolutamente prese la via del parco, oltrepassò
una porta ed in pochi minuti fu nel parco stesso.
Una
volta al sicuro, fra le ombre, trasse dalla tasca un revolver e lo esaminò. Guardò
a destra e a sinistra per garantirsi della solitudine, di nuovo rimise l’arma
in tasca, e voltò a destra. Questa volta non prese delle precauzioni. Avanzò di
buon passo da uomo determinato.
Le
case di un lato di Dacre Square davano posteriormente verso il parco. La casa
segnata con il numero 4 era una di queste. Il giardino piuttosto lungo era
circondato da un muro alto sette od otto piedi, che formava il muro della parte
esterna del parco.
Owen
contò le porte, si fermò avanti a quella che cercava, e misurò con lo sguardo
l'altezza del muro con l’intento di scavalcarlo. Ma con sua grande sorpresa,
urtando col piede la porta, constatò che cedeva e così entrò nel giardino senza
aver fatto il minimo sforzo.
Sicuro
di avere il revolver pronto a portata di mano, chiuse pian piano l’uscio e si
ritirò nell’ombra per guardare la casa, anche da questa parte sfarzosamente
illuminata. Dalle finestre aperte poteva vedere benissimo le coppie dei
ballerini passare da una finestra all’altra, e le dame ed i cavalieri
conversare a gruppi in questa o in quella sala.
Frattanto
Dalya Ellis, la ragazza in onore della quale veniva dato quel ricevimento,
radiante e felice conversava presso una delle finestre delle sale, e più di un
paio d’occhi la fissavano con ammirazione.
Era
in realtà adorabile, gaia, raggiante per la festa che le veniva fatta, per i
voti che venivano formulati attorno a lei, e soprattutto per il benessere dato
dalla prosperità. Forse sino allora non un suo desiderio non era stato esaudito.
Aveva
scorso i suoi ventun anni in un sentiero fiorito, e non aveva mai conosciuto
una difficoltà. Eppure, cosa strana, la sua faccia si turbò quando un uomo
avvicinandosi a lei le sussurrò qualche cosa a bassa voce.
A
prima vista lo si sarebbe giudicato uno straniero. Era alto, aveva gli occhi
neri, profondi, e la sua pelle era abbronzata dal sole. Sino allora aveva
girato da una sala all’altra guardando da destra a sinistra, cercando una certa
faccia. Ora pareva che l’avesse trovata, e guardava la fanciulla con un’espressione
dominatrice che invano cercava di nascondere sotto una forzata soavità di modi.
—
Sapete già che cosa desidero dirvi, miss Dalya. Questa sera compite i ventun
anni ed è mio vivo desiderio di presentarvi i miei voti, e congratularmi con
voi. Potete immaginare quali siano i miei voti?
Ella
non lo guardò. Le sue pupille cercavano ansiosamente nella sala qualcuno che le
venisse in aiuto, ed era visibilmente turbata.
— Credo
che siano i migliori, signor Carter — disse ella lentamente.
— Forse
credete ancora qualche altra cosa, Dalya. Forse credete che v’amo... e sapete
già che ho aspettato ansiosamente fino a questa sera la risposta alla domanda
che vi ho rivolto.
— C’è
sempre una stessa risposta — fece la ragazza guardandolo bene in viso. — Posso
soltanto dirvi che mi dispiace moltissimo... ma che non vi amo.
— Vostro
padre è di un’opinione diversa — rispose l’uomo — e se vi parlo così è perchè
autorizzato da lui. Lo sapete, non è vero?
—
Mio padre non è qui questa sera. E’ stato chiamato inaspettatamente altrove per
affari. Abbiate la bontà di attendere il suo ritorno.
Il
signor Jason Carter con le mani allacciate dietro il dorso guardava la
fanciulla, lottando con la tentazione di stringerla fra le sue braccia,
malgrado la folla che li circondava, e di baciarla suo malgrado.
Sapeva
che la sua causa era disperata e per questo motivo, forse, la ragazza gli
sembrava più attraente che mai. Nondimeno non si mosse ed ella approfittò del
suo silenzio per esprimergli bene la sua intenzione.
— Voglio
che vi persuadiate una volta per sempre che sono irremovibile nella mia
decisione. Non avete indovinato ancora che un altro...?
—
Certo che l’ho indovinato — fece egli — soltanto troverete che non è così
facile liberarsi di me. In genere combatto per quello che voglio, miss Ellis, e
generalmente vinco nella lotta. Non mi troverete cattivo se mi tratterete bene,
ma quando incontro opposizione, in genere divento detestabile. Non credete
preferibile far sì che questa non sia la vostra ultima parola?
— Anche
legalmente questa sera sono una donna, padrona dei miei atti e della mia
volontà, e posso senz’altro decidere ed agire a modo mio, signor Carter. Ho
pronunciato l’ultima parola.
Egli
rise forzatamente, s’inchinò e si allontanò. La ragazza lo guardò per un
istante o due, poi sorrise ad un giovine che venne a chiederle un ballo. E con
la leggerezza delle donne, mentre ballava con il suo cavaliere, cercava
qualcuno che non aveva veduto ancora... qualcuno che smaniava di vedere.
E
finalmente egli arrivò. Dalya lo vide sulla soglia, e di nuovo, con la
perversità delle donne, lo evitò parecchie volte quantunque il cuore le
battesse più celermente sotto l’elegante abito da sera.
Difatti,
fu soltanto dopo una mezz’ora che il giovanotto potè toccarle la mano e
fissarla bene nelle pupille. Coincidenza strana, il caso li aveva portati
contro la stessa finestra presso cui un certo signor Jason Carter una mezz’ora
prima le aveva parlato d’amore.
— Siete
in ritardo, Ronald! — mormorò ella. — Vi aspettavo.
— Non
mi fu possibile venire prima, e d’altronde non è troppo lusinghiero parlare qui
tra tutta questa folla. Desidero parlarvi a quattr’occhi.
— Siete
un ingrato! — rispose Dalya sorridendo. — Vi lamentate mentre sapete che vi
aspettavo e vi cercavo, anche questa sera quando tutti si disputano una mia
parola, un mio sorriso. Via! Mi vergogno di voi!
—
Dalya, sapete che ho un’infinità di cose da dirvi.
— Ma
non dovete tenermi così la mano, non pensate che siamo in pubblico? Se volete
dirmi in fretta due parole, possiamo andare da questa finestra sulla terrazza e
di là in giardino. Ma più di cinque minuti non posso concedervi.
— Siete
un angelo, Dalya, e mi pento di quello che ho detto.
Aprì
la finestra ed insieme uscirono sull’ampia terrazza da cui si scendeva in
giardino. In fondo alla gradinata ella si fermò, graziosamente strinse attorno
a sè le pieghe dell’elegante abito da ballo, e domandò a Ronald Bennett:
— Ebbene,
che cosa avete da dirmi? Potete sbrigarvi in cinque minuti?
— Mille
anni di vita, un milione di anni non basterebbero a dirvi tutto quello che
vorrei! — esclamò egli guardandola con adorazione ed attirandola a sè. — Eppure
questo discorso che potrebbe durare un milione di anni, può esser riassunto in
due parole: Vi amo! Vi amo!
Dalya
lo guardò con una tenerezza infinita ed in preda ad un ineffabile turbamento,
bisbigliò:
— Vi
amo anch’io, e non finirei mai di ripetervi quanto vi amo, Ronald! Solo che
guardiate le mie pupille potrete leggervi la grandezza del mio amore.
Di
nuovo egli l’attirò a sè e la baciò. Ella lottando si svincolò da lui e passò
nel giardino. Ronald Bennett la raggiunse, poi si fermò accanto a lei e seguì
la direzione del suo sguardo.
— C’è
qualcuno! — bisbigliò ella.
— Qualcuno?
Forse qualche altra coppia legata dagli stessi vincoli di affetto che ci uniscono?
—
No, è un uomo solo. Volete andare a vedere chi è, Ronald?
Ronald
Bennett si avanzò verso il punto da cui gli era sembrato che fosse venuto un
rumore, poi si avanzò verso di lei esitando.
— Non
c’è nessuno... Eppure mi era sembrato di vedere un uomo che assomiglia molto a
vostro padre!
— Al
babbo? — ripetè ella ridendo gaiamente e pure con una leggera espressione di
sgomento. — E’ assurdo, Ronald! Mio padre è lontano più di cento miglia. Vi
siete indubbiamente ingannato.
— L’ammetto
— fece egli con poca convinzione.
Poi
guardando la ragazza:
— Perchè
siete così spaventata, cara? Sarà bene che rientrate.
Ma
mentre la riconduceva verso la gradinala, si voltò parecchie volte verso il
punto in cui aveva creduto di vedere un uomo.
Aveva
creduto? No, era perfettamente sicuro di aver veduto un uomo che aveva la
faccia di Farley Ellis, un uomo che l’aveva evitato scomparendo verso la
direzione della casa.
Mentre
rientravano nella sala, la zia di Dalya, miss Jane Ellis, mosse incontro alla
nipote con un telegramma in mano, dicendo:
— L’ho
aperto, cara, prima di essermi accorta che era per voi. E’ un telegramma di
vostro padre.
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