lunedì 11 aprile 2016

I Giustizieri di Dio di Erberto Fowerdaw


I Giustizieri di Dio di Erberto Fowerdaw

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Presentazione
La giovane romanziera Gwenyth Shelley si trova suo malgrado implicata in una strana storia di delitti. Chi sono gli appartenenti al Clan di I Giustizieri di Dio e perché uccidono tutti coloro che causano incidenti stradali mortali.
L’intera Inghilterra è in subbuglio. Come fermare questa congrega di pazzi.
A cercare di sbrogliare la matassa tenta il professore Sir Gilbert Doyle che chiede aiuto alla sua ex segretaria Gwenyth Shelley, nonostante per lui sia difficile, per ragioni sentimentali, stare accanto alla ragazza.
Un romanzo poliziesco che sposa il sentimentale, l’avventura e la detective story.
Incipit
Guidare sotto quella pioggia torrenziale non era certo piacevole, ma Gwenyth Shelley era determinata a raggiungere la Cromwell Grammar School, situata dieci chilometri dalla periferia nord di Londra.
Sola, su quella carrozzabile desolata, la ragazza scrutava ansiosamente davanti a sè la strada stretta poco familiare, accelerando leggermente. C’era giusto lo spazio per lasciare passare due automobili. Lentamente, molto lentamente.
Gwenyth si sorprese a pensare che il suo stato d’animo corrispondeva in pieno alla violenza della natura. L’appuntamento che aveva accettato da Sir Gilbert Doyle, insegnante presso la Cromwell Grammar School e scrittore di fama mondiale, sapeva a cosa avrebbe portato.
Lo aveva conosciuto ad un party. L’amore per la letteratura aveva fatto sì che avevano finito per parlare per tutta la durata della festa, incuranti degli altri ospiti. La voce del quarantenne scrittore era un pò bassa, con intonazioni gravi e particolarmente attraenti. Mentre parlava l’aveva sempre guardata negli occhi, costringendola spesso ad abbassare il suo sguardo, turbata dalla strana bellezza di quegli occhi di cui non riusciva a indovinare il colore. Colpa delle luci al neon di colore diverso.
Il suo modo di comportarsi era semplice, i suoi vestiti molto eleganti. Sarebbe stato difficile trovare una persona più naturalmente disinvolta, più distinta di quell’uomo di successo. In tutta la sua persona, nella fisionomia, nell'atteggiamento, nella parola chiara e calma, si intuiva una natura autoritaria, una intelligenza superiore e dominatrice.
Questa impressione si rafforzava osservando la piega, a volte dura, della bocca, la linea molto ferma dei lineamenti ben disegnati, il portamento della testa leggermente altero, il lampo che attraversava il colore indistinto e profondo dei suoi occhi.
Ogni tanto, alle sue osservazioni, l’uomo le sorrideva, e quel sorriso trasformava per qualche secondo la sua fisonomia. Poi riprendeva subito l'espressione di pensosa freddezza che le dava una certa soggezione.
Generalmente, guidare sotto la pioggia dava a Gwenyth una gioia infantile, una piacevole sensazione di freschezza che le era trasmessa dall’aria ripulita dalla pioggia e dal profumo delle foglie bagnate. Ma questa volta era diverso. La sua mente era in tumulto.
Che giornata infame e deprimente per recarsi a trovare Gilbert. Era in ritardo e l’uomo non sarebbe stato contento di averla dovuta aspettare. Improvvisamente la pioggia cominciò a scemare. Adesso riusciva a vedere chiaramente lunghi tratti di strada dinanzi a sé, gruppi d’alberi alti e incombenti e gli alti, sinistri cancelli dell’antica mattatoio, oramai in disuso.
Era stato un viaggio breve e mentre parcheggiava la sua automobile davanti alla Scuola, Gwenyth Shelley sentì che il suo nervosismo aumentava. Aveva studiato lì per due anni e le sembrava che dalla fine della scuola superiore il tempo non fosse mai trascorso.
Scendendo dalla macchina, Gwenyth fu presa da un'ondata di nostalgia. Quante volte aveva parcheggiato proprio in quel posto, nei giorni andati! Con un sospiro si avviò verso l'ingresso dell'edificio.
Era quasi sicura che a quell’ora Gilbert Doyle aveva finito le sue lezioni e la stava attendendo nella sala riunioni. Mentre pensava a quello che gli avrebbe detto, Gwenyth si sentì ancora più nervosa.
Nel passare davanti ad una vetrina di un negozio vide la sua immagine riflessa nei vetri. Sorrise a sé stessa. A vent’anni anni ne dimostrava sedici. Il suo volto liscio, senza il minimo trucco, era esaltato dai suoi stupendi occhi azzurri e dalla bocca infantile. Era alta, le spalle aperte, la vita sottile, le gambe lunghe. Nel complesso una piacevole bionda dalla figura slanciata. Un connubio ambiguo di bellezza limpida e insieme sensuale.
Si chiese ancora una volta perché aveva accettato quell’appuntamento? Sapeva di dover molto a Gilbert Doyle, che prima l’aveva assunta come sua segretaria e poi l’aveva lanciata nel mondo editoriale dove si era affermata come scrittrice di romanzi polizieschi.
No, lei non era lì per riconoscenza verso di lui. Anche in passato era uscita con lui, ma senza alcun secondo fine, come buoni amici. Questi, che era scapolo, la aveva invitata spesso e nell'ambiente della scuola giravano voci che fossero amanti.
La cosa non era vera, e se le chiedevano che rapporti vi fossero tra lei e l’affascinante professore, rispondeva sempre, con naturalezza e senza arrossire, che erano ottimi amici.
Ma tutto questo accadeva prima che lui la cominciasse a guardare in un modo diverso!
Gwenyth non era mai stata con un uomo. Era ancora vergine. In passato aveva avuto un fidanzato, ma questi non aveva mai risvegliato in lei quelle grandi e piccole affinità che sentiva dovevano esserci per legare due esseri fin nel più profondo dell’anima.
I sentimenti e la passione che provava per Gilbert Doyle, non li aveva mai provati prima. Aveva scoperto che in lei albergava una inguaribile romantica, e aveva preso a sognare come sarebbe stato perdere la sua verginità.
Quei suoi pensieri avrebbe voluto che fossero stati relegati sempre e soltanto nel mondo dei suoi sogni più nascosti, ma non era stato così.
Quando, una sera, fattasi audace per mostrarsi evoluta, ne aveva parlato con Gilbert, questi le aveva confidato che si era innamorato di lei. Era rimasta senza parole. Si era chiesta allora che fare, ma lui non le aveva dato il tempo di riflettere. Le aveva detto, con semplicità disarmante:
— Ti aspetto domani a scuola dopo le lezioni. Ti porto a Brighton con me.
E l’attendeva per una risposta.

Che risposta avrebbe dato? Ancora non lo sapeva.

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